Caduti i "gravi indizi di colpevolezza" che lo avevano portato in cella per undici giorni, Alessandro Geri continua ad essere considerato "indagato" dalla Procura di Roma, che ritiene di avere comunque in mano elementi sufficienti per continuare ad indagare su di lui. Saranno forse la verifica della attendibilita' dei testimoni che hanno confermato l'alibi di Geri e una perizia sul suo computer e su alcuni floppy disk a risolvere il caso.
La telefonata di rivendicazione dell'omicidio D'Antona e' partita da una cabina telefonica di via Rocchi, nei pressi del complesso ospedaliero San Camillo-Forlanini, a Roma, ed e' delle 19.04 del 20 maggio 1999. Tre minuti prima da quella cabina aveva telefonato per 44 secondi un ragazzino che avvertiva i suoi genitori di un ritardo. Il ragazzino, al quale gli investigatori sono risaliti dopo una sofisticata indagine, fornisce un identikit del giovane che aspettava di telefonare. Secondo gli inquirenti corrisponde a Geri, perche' la scheda telefonica che ha utilizzato il telefonista per chiamare Il Corriere della Sera finisce nelle mani di un rom. Il rom dichiara alla polizia di averla ricevuta da una collaboratrice dell'Opera Nomadi. E lei conosce Geri.
Il rom e' adesso in carcere per un furto d'auto, fermato dai carabinieri poco dopo il suo contatto con la polizia. E si dichiara innocente. (Sul tema dei tempestosi rapporti tra polizia e carabinieri, anche in questa vicenda, si potrebbe scrivere un libro). Il ragazzino della cabina telefonica- sempre secondo la Procura, e secondo il Gip che ha convalidato la richiesta di arresto - riconosce di nuovo Geri in alcune foto segnaletiche. La ricognizione, con Geri e altri cinque uomini, avviene il 25 maggio scorso. Il quattordicenne viene sentito dal Gip Lupacchini per quasi due ore e poi riconosce tre dei sei volti che gli vengono mostrati.
"Il quattordicenne non ha riconosciuto il mio cliente, ne' gli altri che ha visto nella ricognizione" dice l'avvocato di Alessandro Geri, Rosalba Valori. Tre persone, "per alcuni tratti", gli ricordavano il telefonista. Per quanto riguarda Geri "ha detto che aveva i capelli piu' lunghi, e che la barba non corrispondeva". Ma anche il viso, "troppo tondo", non era quello del telefonista, secondo il testimone.
"Per un attimo, dopo la ricognizione, ho sperato in una assoluzione immediata. Ma poi ho sentito dire che la Procura si dichiarava soddisfatta". Non era cosi'. La procura decide di chiedere il rilascio di Geri il 26 maggio, 24 ore dopo la ricognizione, e dopo aver preso atto che almeno due testimoni sostenevano che Geri, all'ora della rivendicazione, si trovava nella sua abitazione, a qualche chilometro di distanza dalla cabina di via Rocchi.
"La Procura - dice Nello Rossi, membro del Consiglio Superiore della Magistratura - e' stata giustamente sollecita a chiedere la revoca degli arresti quando ha ritenuto che il quadro indiziario non avesse piu' la consistenza iniziale. E non vorrei che venisse penalizzata per questo, perche' ha rispettato le regole, e ha saputo ritrarsi dalla richiesta delle misure cautelari. Io - dice il magistrato - sono piu' rassicurato da una Procura che sa ritrarsi che da una che si 'incaponisce' ed insiste".
Geri in realta' e' stato costretto fin dal primo giorno di detenzione, ("Geri in lacrime", ha scritto qualche giornale) a ricostruire i suoi movimenti il 20 maggio. A trovarsi un alibi, a spiegare cosa aveva fatto, quando aveva verniciato l'abitazione della sorella e perche' non era andato al lavoro, a raccontare perche' era "dedito a spedinamento" nei giorni immediatamente precedenti al suo arresto (perche' da almeno un mese era sotto osservazione).
"Stiamo alla logica", dice l'avvocato Valori: "Geri, con un capo di imputazione gravissimo come la costituzione e l'organizzazione di una banda armata, l'attentato, il possesso di armi - cioe' con la minaccia di un ergastolo - viene scarcerato dopo che sono stati sentiti alcuni testimoni. C'e' un capo di imputazione gravissimo, vengono sentiti dei testi, Geri viene scarcerato perche' cadono i 'gravi indizi di colpevolezza'. Evidentemente c'era molto poco. Dire che comunque la procura continua ad indagare per verificare l'attendibilita' dei testi, tanto che alcuni giornali si appassionano al tema e indagano sui rapporti familiari dei testimoni, e scoprono che nel 1990-91 l'ex marito di una di loro aveva avuto una perquisizione, dieci anni fa, a questo punto e' un non senso". (Gabriela Fabiani e' la testimone chiave della vicenda; ha confermato di aver lavorato per tutto il pomeriggio con Geri nella casa di Portonaccio).
Ma i "gravi indizi" non potevano "cadere" prima dei dieci giorni di carcerazione che il presunto telefonista ha dovuto subire? Le verifiche fatte non potevano essere compiute prima? L'arresto era proprio necessario? E cosa sarebbe successo se Geri non avesse avuto un alibi? "Sarebbe rimasto in carcere, non c'e' dubbio: ed e' questo il fatto grave", dice la Valori. "Gli elementi che la Procura aveva erano davvero pochi, e non giustificavano comunque una richiesta di custodia cautelare. Ma se anche gli elementi non avessero retto al vaglio del dibattimento, sarebbero stati considerati sufficienti per una lunga carcerazione. E questo e' preoccupante, perche' le misure cautelari non possono essere emesse sulla base di una serie di indizi".
Per Nello Rossi "i magistrati si sono trovati in una stretta. Dovevano decidere, e il giudizio sulla loro attivita' non puo' essere dato con il senno di poi. Bisogna mettersi nelle condizioni in cui si trovavano loro, al momento in cui hanno preso la decisione". Una decisione condizionata da pressioni della polizia? "C'e' molto spesso - risponde Rossi - un fisiologico interesse della polizia a "chiudere": la polizia chiede al magistrato di ottenere dal Gip dei provvedimenti. Pero' i magistrati, nel nostro ordinamento, sono indipendenti. Io sono convinto che non ci sia spinta che tenga, e sono convinto che, visto che i Pm sanno che dovranno rispondere dei loro atti, agiscano sulla base di valutazioni autonome".
Il motivo per cui l'avvocato Valori si dice "sconcertata" e' l'atteggiamento dei mezzi di informazione: "comprendo il lavoro della stampa, e il desiderio di sapere dell'opinione pubblica. Ma c'e' il dovere del rispetto nei confronti degli imputati e dei testimoni. La persona che ha confermato che Geri quel 20 maggio stava lavorando a casa ha subito ore ed ore di interrogatori, ha trascorso quasi una intera settimana tra la Procura e la Digos. E al termine di tutto questo, quando Geri e' stato liberato, l'ala del sospetto si e' spostata su di lei. E' questo che trovo sconcertante".