RAPPORTO ITALIA 2009
UFFICIO STAMPA EURISPES
CAPITOLO 5 GIUSTIZIA
[SONDAGGIO - SCHEDA 41] LA GIUSTIZIA SOTTO PROCESSO: L’OPINIONE DEGLI ITALIANI
L’Eurispes ha indagato il punto di vista degli italiani in merito alle principali cause che ostacolano il funzionamento della macchina giudiziaria, riguardo alla punizione di alcuni reati particolarmente gravi, nei confronti dei quali sarebbe necessario, secondo l’opinione pubblica, un inasprimento delle pene e, non per ultimo, si è indagato sul grado di condivisione della nuova riforma della giustizia promossa dal Guardasigilli Alfano. Il 62,3% degli italiani ritiene che il problema principale della giustizia italiana sia rappresentato dalla durata irragionevole dei processi. Più bassa è, invece, la percentuale di coloro i quali sono convinti che la principale causa del malfunzionamento della macchina giudiziaria sia attribuibile all’inadeguatezza dell’ordinamento giuridico (20,4%) o alla mancanza di imparzialità dei magistrati (10,8%). Pochissimi giudicano positivo l’operato di questa Istituzione (1,6%). Sono soprattutto gli adulti tra i 35 e i 44 anni ad essere convinti che l’eccessiva lentezza dei processi sia la principale questione da risolvere (65,1%). I 25-34enni sono, invece, più portati a credere che le cause del malfunzionamento derivino da leggi inadeguate (24,6%), mentre gli ultra 65enni sottolineano, con più evidenza, l’incapacità dei magistrati di giudicare con imparzialità i casi che, di volta in volta, si presentano loro (13,9%). Tra quest’ultimi, tuttavia, si riscontra una maggiore fiducia verso la macchina giudiziaria (2,8%). Giudica eccessivamente lenta la durata dei procedimenti giudiziari il 67,7% di quanti appartengono al centro, seguiti da quelli di centro-sinistra (67%), del centro-destra (64,4%), di sinistra (63,7%) e di destra (52,7%). D’altra parte, quest’ultimi ritengono, più di altri, che le cause del cattivo funzionamento della giustizia siano rintracciabili nell’ordinamento giuridico (24,3%) e nel comportamento dei magistrati (16,2%). Spiccano, tra coloro i quali non credono che la giustizia italiana funzioni male, gli elettori di sinistra (3,3%), (2,1% di centro, 1,9% di centro sinistra, 1,4% di destra, 1% di centro destra). Quali pene inasprire. La maggioranza degli italiani ritiene che debba essere oggetto di revisione principalmente l’apparato sanzionatorio dell’omicidio (20,4%). Significativa è la percentuale di quanti ritengono opportuno un inasprimento delle pene per i reati di violenza sessuale (18,5%), di guida in stato di ebbrezza (14,8%) e eper quelli di natura finanziaria/economica (13,7%). Bassa la percentuale di italiani che considera l’immigrazione clandestina e le truffe reati che meriterebbero condanne più dure (rispettivamente 5% e 4,5%), così pure per il consumo di stupefacenti (3,7%), la rapina (2,6%), il furto (2,5%) e la prostituzione (2%). Ben il 7,9% dei cittadini, infine, crede che l’inasprimento delle pene dovrebbe riguardare indistintamente tutti i reati sopra elencati. Gli italiani residenti nel Nord-Ovest sono maggiormente convinti che l’inasprimento delle pene debba riguardare reati di violenza sessuale (25,6%), di natura finanziaria/economica (19,8%) e le truffe (6,2%), mentre quelli del Nord-Est credono con più fermezza che si dovrebbero prevedere delle condanne più dure per tutti coloro i quali commettono omicidi (23,2%). Al Centro sono, poi, i più propensi a credere che gli interventi legislativi dovrebbero riguardare prevalentemente crimini quali la prostituzione (3,5%) e il furto (4,3%), mentre la rapina sembra essere oggetto di preoccupazione soprattutto tra i meridionali (4,9%). Gli abitanti delle Isole spiccano tra coloro i quali sostengono che l’inasprimento debba interessare l’immigrazione clandestina (9,6%), la guida in stato d’ebbrezza (17,2%) e il consumo di stupefacenti (8,8%). Quest’ultimi hanno, inoltre, una maggiore propensione a considerare tutti i reati sin qui elencati meritevoli di essere sottoposti ad una revisione in termini di apparato sanzionatorio associato (12,8%). Gli italiani che si identificano nell’area politica di sinistra ritengono prioritario l’inasprimento delle pene per i reati di violenza sessuale (25,3%), di natura finanziaria/economica (22,5%) e per le truffe (5,3%). Quelli di centro credono, invece, più di altri, che l’omicidio (25,8%) e la prostituzione (6,2%) siano i due reati su cui occorrerebbe maggiormente intervenire, mentre quelli del centro-destra sembrano essere più sensibili, in generale, verso tutti i crimini (9,6%) ed, in particolare, verso quelli attinenti il consumo di stupefacenti (5,8%) e le rapine (3,3%). A destra l’accento viene messo maggiormente verso reati quali l’immigrazione clandestina (9,7%), la guida in stato di ebbrezza (19,4%) ed il furto (4,5%). 63
No all’immunità per le alte cariche dello Stato. Ben l’86,3% dei cittadini si dice contrario a tale provvedimento, a fronte del 9,4% (abbastanza, 6,7% e molto 2,7%) di coloro i quali sono, invece, favorevoli. Sono soprattutto i più giovani, tra i 18 e i 24 anni, (93,8%, di cui per nulla 75,3% e poco 18,5%) a ritenere inadeguata la legge sull’immunità parlamentare; seguiti dai 35-44enni (88,9%, di cui per nulla 74% e poco 14,9%), dai 25-34enni (86,8%, di cui per nulla 66,2% e poco 20,6%), dai 45-64enni (84,6%, di cui per nulla 71,5% e poco 13,1%) e dagli ultra 65enni (79,4%, di cui per nulla 61,1% e poco 18,3%). La disapprovazione nei confronti di tale provvedimento è, tuttavia, un sentimento che accomuna indistintamente tutte le aree politiche rappresentate, seppur a livelli differenti: sono, infatti, contrari gli elettori di centro-sinistra (90,7%, di cui per nulla favorevoli 79,6% e poco 11,1%), di centro (84,4%, di cui per nulla 61,5% e poco 22,9%), di destra (79,7%, di cui per nulla 41,9% e poco 37,8%) e di centro-destra (76,9%, di cui per nulla 51,9% e poco 25%).
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[SCHEDA 42] ANALISI DELLA SPESA PER LA GIUSTIZIA
La spesa del Ministero della Giustizia. Più dell’85% delle spese complessive appartiene alla voce “spese correnti”. La retribuzione del lavoro dipendente rappresenta la maggiore voce di spesa corrente (circa 5,1 miliardi di euro nel 2007). La dinamica dei consumi intermedi (spese per acquisti di beni e servizi) fa registrare un forte incremento per l’anno 2004 rispetto all’anno precedente (+66%) e una considerevole crescita anche negli anni 2002 e 2003. La causa dell’incremento abnorme del 2004 è stata riscontrata dalla Ctfp, che nei 1.891 milioni di spesa corrente per consumi intermedi ha individuato 823 milioni di spesa (autorizzati nella Legge finanziaria 2004) per provvedere all’estinzione delle anticipazioni effettuate per spese di giustizia da Poste Italiane SpA fino al 31 dicembre 2002. Al netto di spese per l’estinzione di debiti pregressi e considerate le spese per trasferimenti correnti a famiglie e istituzioni sociali private, la spesa del 2004 per consumi intermedi è stata pari a 1.068 milioni di euro.
Spese del Ministero della Giustizia Anni 2002-2007 Valori assoluti in milioni di euro
Voce Anni 2004 7.435 1.891 4.608 265 7.700
2002
2003 6.323 1.134 4.646 277 6.600
Spese correnti (complessive) 5.788 Consumi intermedi 1.058 Lavoro dipendente 4.237 Spese in conto capitale (complessive) 271 Totale delle spese(*) 6.059 (*)Somma delle spese correnti complessive e delle spese in conto capitale complessive. Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Ctfp-Mef.
2005 7.152 1.386 4.817 274 7.425
2006 7.765 1.520 5.251 218 7.983
2007 7.221 1.078 5.128 293 7.515
Le retribuzioni costituiscono la maggior voce di costo per spesa del personale (98,4%), mentre la voce “altri costi” è del tutto marginale (1,6%). Il costo del personale rappresenta la voce di costo maggiore del Dicastero, pari a circa il 72% del totale. Le voci principali sono: perizie e servizi investigativi, pari a circa il 26% dei costi di gestione totali; servizi ausiliari (sorveglianza e custodia, pulizia e lavanderia, stampa e rilegatura, trasporti, etc.), pari a circa il 13% dei costi di gestione totali; beni di consumo (carta, cancelleria, stampati, giornali e riviste), pari a circa il 13% dei costi totali. Complessivamente le tre voci elencate costituiscono il 52% dei costi di gestione totali. Le spese di giustizia. Il capitolo 1360 è un aggregato di costi di diversa natura (spese di estradizione, spese di notificazione ed indennità di trasferta) che, complessivamente, risultano essere pari a circa 516 milioni di euro nell’anno 2007, ovvero circa il 7% degli impegni del Ministero della Giustizia per lo stesso anno (circa 7,5 miliardi di euro). Il totale dei pagamenti per il capitolo 1360 è passato dai circa 369 milioni di euro del 2001 ai circa 505 milioni di euro del 2003, un incremento di circa il 37%. Nel 2005 i pagamenti totali erano 484,8 milioni di euro nel 2005 e 634,8 milioni di euro nel 2006. Oltre ad una diminuzione sensibile dei pagamenti totali dall’anno 2006 al 2007 (-18,6%), si registra una diminuzione degli stanziamenti di competenza per entrambi gli anni che sembra essere compatibile sia con i pagamenti totali sia con le previsioni e gli stanziamenti di cassa. I costi per intercettazioni e noleggio apparati. Tra il 2003 ed il 2005, si è registrata, per questa voce di spesa, una crescita delle spese del 21% (da 237 milioni di euro del 2003 ai 287 del 2005). Le spese registrate per il 2003 ed il 2004 convalidano le stime di spesa retrospettive effettuate dall’Eurispes nell’agosto 2005, rispettivamente pari a circa 256 milioni di euro per il 2003 e circa 260 milioni di euro per il 2004. Negli anni 2006 e 2007 si è registrata una diminuzione delle spese da 229 a 224 milioni di euro. Rispetto al massimo registrato nel 2005, è possibile, però, che queste cifre debbano essere incrementate al termine della revisione delle spese recentemente iniziata dall’Umi. Le spese per “equa riparazione”. Questa voce ha registrato una considerevole crescita fino al 2006 (4,8 milioni di euro nel 2003, 6,4 nel 2004, 10, 7 nel 2005 e 17,9 milioni di euro nel 2007). Il continuo accumularsi di procedimenti pendenti presso tutti gli Uffici Giudiziari, pari a circa 4,6 milioni nel 2005 e circa 5 milioni nel 2007, insieme ad una domanda di giustizia crescente, possono generare ulteriori ritardi nella conclusione dei procedimenti e, quindi, un incremento notevole dei risarcimenti dovuti dallo Stato.
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[SCHEDA 43] I TEMPI DELLA GIUSTIZIA IN ITALIA
Al 31 dicembre 2007, l’Italia è al 7° posto per condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo con 2.900 processi pendenti (pari al 4% di quelli proposti dinanzi alla stessa Corte), per la durata eccessiva dei processi e gli espropri per pubblica utilità. Ridurre tempi e costi della giustizia si può? Negli ultimi cinque anni, è stato esponenziale l’incremento (800%) dei costi sostenuti dall’Erario (pari a 41,5 milioni di euro nel quinquennio 2002/2007, di cui 17,9 milioni nel solo 2006) per indennizzare i cittadini che hanno subìto cause senza fine, con una quanto mai realistica previsione di “esplosione” di tale spesa che potrà raggiungere i 500 milioni di euro. Inoltre, la spesa per la giustizia nel nostro Paese, pur essendo in linea con lo standard europeo, non riesce ad attestarsi sugli stessi livelli di efficienza dei partners europei cui siamo soliti confrontarci: Svezia, Germania e Olanda, ad esempio, svolgono processi civili in meno di metà del tempo necessario in Italia, pur disponendo di risorse pubbliche assai prossime a quelle italiane (46 euro): 44 euro per abitante in Svezia, 53 euro in Germania, 41 in Olanda. 954 e 249 giorni per un processo civile e penale. Nel 2006, le cause iscritte sono state in totale 4.335.493 a fronte delle 4.330.305 iscritte nel corso del 2005: si rileva, dunque, una domanda globale di giustizia pressoché stazionaria. Nel quinquennio 2003-2007, la durata media dei procedimenti civili è stata di 942,2 giorni: nel 2007 il tempo necessario per portare un procedimento alla conclusione è stato di 954 giorni (ovvero poco più di due anni e mezzo) con un peggioramento rispetto ai 909 giorni necessari registrati nel corso del 2006 e gli 866 del 2002. Invece, la durata media effettiva dei procedimenti penali è stata pari a 228,2 giorni (7,7 mesi) e nel biennio 20062007 sono stati impiegati 249 giorni complessivi (8 mesi circa), contro i 210 giorni del 2004. Processi civili definiti e inconclusi. La capacità di risposta del sistema si è mantenuta costante, tenuto conto della ulteriore diminuzione, di circa il 3%, del numero di magistrati in servizio. Il numero di procedimenti civili definiti nel 2006 (29.461) è stato di poco inferiore a quello registrato nel 2005 (31.177). Nel 2007, i processi civili definiti sono stati 29.776. All’inizio del 2007, i processi pendenti sono 100.805 contro i 95.081 del 2006 e i 93.726 del 2005. L’aumento della pendenza, tuttavia, non è omogenea tra gli uffici giudiziari: se, infatti, presso i tribunali si registra un minimo incremento nel 2007 rispetto al 2006, l’aumento delle pendenze finali è assai rilevante presso le Corti di appello (+11,04%) e presso i Giudici di pace (+14,35%), per un totale complessivo superiore ai cinque milioni di procedimenti pendenti (5.127.450 al 31 dicembre 2006). La giacenza media dei procedimenti civili varia da circa 980 giorni per la cognizione ordinaria di primo grado (ma occorre ricordare che quasi il 90% dei procedimenti in primo grado finisce con la pronunzia della sentenza che non viene impugnata), a circa 758 giorni per i procedimenti civili in materia di lavoro. Processi penali definiti e inconclusi. Nel 2007, i processi penali definiti sono stati 47.959 (vs i 43.526 del 2006 e i 46.377 del 2005). In aumento anche i processi pendenti all’inizio del 2007 (37.439) rispetto a quelli di due anni precedenti: nel 2006 se ne contano 32.862 e nel 2005 30.953. In Corte d’Appello la situazione più grave. La giacenza media di un procedimento di cognizione ordinaria è stata di circa 1.405 giorni nel 2006, mentre per le controversie di lavoro è stata di circa 814 giorni, durata che si va a sommare a quella già accumulata per il giudizio di primo grado. Per il Giudice di pace la giacenza media delle cause relative a risarcimento danni da circolazione stradale si è attestata, invece, intorno ai 545 giorni nel 2006 mentre, per le opposizioni verso le sanzioni amministrative in materia di circolazione stradale si è giunti, nel medesimo periodo, a 286 giorni totali. Luci e ombre del settore penale. Nel corso del 2006, si è riscontrata una riduzione dell’1,5% dei procedimenti iscritti contro noti e del 5% di quelli contro ignoti, confermando l’andamento già riscontrato nel 2005. Nei primi sei mesi dell’anno 2007, tale andamento sembra essersi invertito, dal momento che si è constatato un incremento delle sopravvenienze pari al 5% relativamente ai procedimenti iscritti contro noti e del 6% per quelli contro ignoti. Sul versante dei procedimenti sopravvenuti dinanzi a tribunali, si registra una diminuzione, nel corso del 2006, del 2,5% per quelli collegiali e del 3% per quelli monocratici. Nel corso del 1° semestre 2007, si è registrato, invece, un incremento del 7,5% per i procedimenti da trattare innanzi al collegio e una riduzione dello 0,5% per quelli monocratici. Relativamente ai procedimenti innanzi al giudice di pace, si è registrata una diminuzione del 5% di procedimenti iscritti nel 2006 e un incremento del 10% in relazione a quelli iscritti nel 1° semestre 2007. Per quanto riguarda i giudizi di appello, si è riscontrato un incremento dei procedimenti iscritti nel 2006 rispetto al 2005 del 4%, e, allo stesso tempo, una diminuzione di circa il 9% nel primo semestre del 2007.
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Per ciò che attiene ai tribunali, sono risultati definiti un numero di procedimenti di poco inferiore rispetto a quello degli atti sopravvenuti nelle rispettive cancellerie. Innanzi alle Corti di Appello, nel 2006, sono stati definiti una quantità di procedimenti del 15% inferiore a quella dei sopravvenuti, mentre il dato del primo semestre del 2007, appare più confortante, risultando definiti il 10% in più di procedimenti rispetto a quelli iscritti. La positività del dato non va, tuttavia, sopravvalutata, poiché deriva pressoché interamente dalla riduzione del 10% dei procedimenti sopravvenuti. Ancora qualche dato. Innanzi al giudice di pace, nell’anno 2006, vi è stato un notevole peggioramento: malgrado la riduzione del 5% delle sopravvenienze, il numero dei procedimenti si è ridotto del 20% rispetto ai procedimenti definiti dell’anno 2005, determinando un incremento delle pendenze a fine anno di circa il 30%. Nel corso del primo semestre del 2007, le sopravvenienze sono aumentate del 10%, mentre le definizioni procedimentali sono state del 20% inferiori alle sopravvenienze, producendo la crescita della pendenze al 30 giugno 2007 di un ulteriore 10%. La giacenza media, in giorni, dei procedimenti è aumentata per tutte le tipologie di ufficio, tranne che per le Procure della Repubblica dove per i procedimenti in cui l’autore è noto si è segnata una diminuzione che varia dai 469 giorni del 2005 ai 457 giorni del 2006. La variazione più elevata si registra per le Corti di Appello dove la giacenza media di ciascun procedimento passa dai 622 giorni del 2005 ai 681 giorni del 2006. Notevole, inoltre, è risultata la variabilità tra il periodo di giacenza dei procedimenti tra i singoli uffici, che risente anche della collocazione territoriale e delle dimensioni dell’organo giudicante: nel caso delle Corti di Appello si passa, ad esempio, dai 260-270 giorni per le Corti di Palermo e Catanzaro, agli oltre 1.300 giorni di Ancona e Venezia, a fronte della media nazionale di 681 giorni.
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[SCHEDA 44] QUANDO LA GIUSTIZIA LASCIA A DESIDERARE L’Italia degli sprechi. Da uno studio pubblicato dalla Commissione Europea per l’efficienza della giustizia, si evince che l’Italia occupa uno dei posti in vetta alla classifica dei paesi europei per la spesa giudiziaria che, stando ai dati riferiti al 2006, supera i 2 miliardi e 600 milioni di euro, attestandosi attorno ai 45 euro pro capite. Seguono la Russia (2 miliardi 401 milioni di euro), la Francia (2.377.000.000 di euro), Inghilterra e Galles (1.504.095.309 di euro), Polonia (1.190.027.000 di euro), Paesi Bassi (774.368.000), Svizzera (626.145.213). Occupano, invece, gli ultimi posti la Moldavia (3.002.838), Monaco (4.111.500) e Armenia (4.189.496). Tale primato dovrebbe garantire un sistema giudiziario che si distingua per alti livelli di qualità ma, bisogna tener da conto che circa il 70% della spesa totale viene erogata per pagare i dipendenti del settore e che gli sprechi sono innumerevoli. La corsa ai ripari. Nel corso degli ultimi cinque anni, lo Stato ha pagato circa 213 milioni di euro di risarcimento, la quasi totalità dei quali (206 milioni di euro, 97% del totale) per ingiusta detenzione cautelare, a cui si sommano ulteriori 6,3 milioni di euro (3% del totale) per errori giudiziari. La spesa per ingiusta custodia cautelare, che nel 2004 ha raggiunto il picco massimo di 54,2 milioni di euro, è scesa gradualmente fino a 26,9 milioni di euro (2007), passando dai 48,4 milioni del 2005 ai 33,6 milioni del 2006. La spesa per errori giudiziari ha subìto un incremento sostenuto nel corso degli ultimi due anni (1,1 milioni di euro nel 2006; 2,1 milioni di euro nel 2007), tornando ai livelli fatti registrare nel 2003 (2,1 milioni di euro contro gli 842 mila euro del 2004 e i 60 mila euro del 2005). Prima dell’entrata in vigore nel 1988 del Nuovo Codice di procedura penale non era prevista alcuna forma di risarcimento nei confronti di quei soggetti che fossero stati vittima di un errore giudiziario. I codici precedenti del 1913 e del 1930 prevedevano come unica riparazione al torto subìto, una somma forfettaria a titolo di “soccorso”. Non solo “casi giudiziari”. Le somme erogate per il risarcimento non possono compensare gli anni di libertà persi e i patimenti subiti dalle famiglie delle vittime e che dietro questi casi giudiziari ci sono delle vite che vengono totalmente stravolte, alle volte annientate da una detenzione ingiusta o da altro errore giudiziario. Nonostante i numerosi interventi del legislatore volti a tentare di arginare la situazione emergenziale dell’amministrazione della giustizia in Italia, ancora oggi i cittadini si trovano di fronte ad un apparato giudiziario inefficiente. La giustizia viene sentita non solo come valore in sé, ma anche come strumento attraverso il quale un moderno Stato democratico garantisce il diritto dei singoli e della collettività al rispetto di ciò che loro appartiene legittimamente. In questo senso occorre riconoscere che non c’è momento, non c’è fase storica, non c’è periodo della vita dell’uomo o di una comunità in cui non si ponga il dramma della giustizia violata dagli uomini o danneggiata dallo Stato: essa è in questo caso avvertita come valore negativo, come bisogno non realizzato di verità, come bene non protetto, come ingiustizia. Si parla spesso di educazione alla legalità, di lotta alla mafia, alla corruzione, importanti quanto scottanti tematiche, che possono essere affrontate solamente riacquistando fiducia nella giustizia e nelle sue modalità di applicazione. Occorre applicare nuove pratiche e procedure tese a snellire i tempi di attesa e a demandare ad altre figure questioni che non necessitano di un’autorità competente in materia giuridica per essere regolate e che possono dunque essere discusse in sedi alternative alle aule dei tribunali. Ciò agevolerebbe sia i cittadini che giudici e avvocati, la cui attività risulterebbe alleggerita, consentendo loro di occuparsi di casi che necessitano un’attenzione maggiore ed approfondita.
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[SCHEDA 45] IL PROCESSO IN ITALIA: L’IMPUTATO PUÒ ATTENDERE
La sfida dell’Eurispes e la realizzazione del Rapporto sul Processo Penale in Italia. Quanto incide, nel normale corso di un processo penale, l’impedimento a comparire del difensore perché impegnato in altro processo, e quanto la mancata citazione dei testimoni per l’udienza da parte del Pubblico ministero? Quanto incide la nullità dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, con conseguente regressione della fase processuale, e quanto l’assenza del Giudice titolare? E quanto gli errori nella notifica degli atti, o le assenze dell’interprete o dei periti, o la mancata comparizione dei testimoni pur regolarmente citati per l’udienza, a cominciare da agenti o ufficiali di Polizia giudiziaria? A queste domande ha cercato di dare delle risposte la ricerca, realizzata nel corso del 2008 dall’Eurispes in collaborazione con l’Unione Camere Penali Italiane. Il lavoro di ricerca ha comportato un impegno organizzativo davvero notevole, con il coinvolgimento operativo di ben 27 Camere Penali statisticamente rappresentative dell’intero territorio nazionale e territorialmente riferibili ai Fori costitutivi del campione statistico, selezionato secondo criteri dimensionali e geografici. I processi monitorati, quasi 13.000, sono esclusivamente quelli celebrati nella fase dibattimentale di primo grado presso le Sezioni in composizione collegiale e monocratica dei Tribunali appartenenti al campione statistico, ivi comprese le Sezioni distaccate di significativo rilievo statistico. I t-empi medi di durata e di rinvio. Dai risultati dell’indagine è emerso che la durata media della trattazione di un processo in udienza è di 18 minuti per i processi celebrati dinanzi al Giudice monocratico e di 52 minuti per quelli celebrati dinanzi al Tribunale collegiale. La durata media del processo che prevede un singolo imputato dura di media 18 minuti, mentre nel caso di più imputati la durata media del processo in udienza è pari a 30 minuti. Nei processi penali italiani, tra una udienza e l’altra del medesimo processo, i tempi del rinvio sono mediamente di 139 giorni per i processi svolti in aula monocratica e di 117 giorni per quelli dibattuti in aula collegiale. Quante sentenze, quanti rinvii. A livello di tipologia di rito processuale, è stato messo in luce che la stragrande maggioranza dei processi dibattimentali si celebrano con rito ordinario (90,6%), mentre il 9,4% si svolgono con riti alternativi: 5,4% con rito abbreviato, 4% con patteggiamento. I processi che ogni giorno si concludono in Italia con la pronunzia di una sentenza ammontano a meno del 30% del totale, mentre pressoché nei due terzi dei casi (69,3%) il processo si conclude con un rinvio ad altra udienza. Soltanto nell’1,2% dei casi l’udienza si conclude con la restituzione degli atti al Pm. Il Sud sfiori la media dell’80% dei rinvii, mentre il Nord-Ovest (62,9%) e il Nord-Est (60,5%) si assestino sulla percentuale di circa il 60% o di poco superiore. Anche al Centro, in ogni caso, si registra un dato considerevole (70,5%). Sul totale dei processi che si concludono con la pronunzia di una sentenza (29,5%), nel 60,6% dei casi si tratta di condanna, nel 21,9% di assoluzione e nel 14,9% di estinzione del reato. Tra le sentenze di proscioglimento per estinzione del reato, pari complessivamente al 14,9%, ben il 45,5% di esse è avvenuto per prescrizione del reato, il 32,8% per remissione di querela, mentre solo l’8,6% per oblazione. Le ragioni di rinvio ad altra udienza ammontano a 12.918, il 69,3% del totale e si dividono in ragioni di rinvio di carattere generale e ragioni di rinvio proprie della istruttoria dibattimentale. Le ragioni di rinvio di carattere generale. Il legittimo impedimento dell’imputato determina il rinvio del 2,6% dei processi. Non di molto superiore (5%) la percentuale dei rinvii dovuti al legittimo impedimento del difensore. I rinvii catalogati “per esigenze difensive” sono pari al 6,6% . Significativamente alta è la percentuale dei processi rinviati per meri problemi tecnico-logistici (6,8%). Altra ragione di rinvio per così dire “limitrofa” a quella logistico-organizzativa è quella per “carico del ruolo” (3,1%). Invece, la percentuale di rinvii formalmente motivati per repliche è pari al 2,2%. 12,4% è la percentuale dei rinvii per discussione e quella relativa ai processi rinviati per assenza del Giudice titolare. L’1,5% e lo 0,2% riguarda, rispettivamente, i rinvii per “precarietà del Collegio” e per “assenza del Pm titolare” (0,2%). Allarmante è il dato relativo alla citazione dell’imputato: il 9,4% dei processi vengono rinviati ad altra udienza per “omessa o irregolare notifica all’imputato”. Il valore, nettamente inferiore, dell’analogo dato relativo alla citazione della “persona offesa” (1,3%), è in larga parte dovuto alla limitata presenza di tale soggetto processuale. La fase preliminare della udienza dibattimentale. Prima ancora che si proceda alle richieste di ammissione delle prove da parte di accusa e difesa, il 47,4% dei processi fissati per l’inizio del dibattimento viene rinviato (per legittimo impedimento imputato e difensore, assenza Giudice titolare, problemi logistico-organizzativi, irregolarità notifiche a imputato, persona offesa e difensore, carico del ruolo, incompetenza, incompatibilità, astensione, riunione ad altro procedimento). A tale dato deve aggiungersi infine, per sostanziale assimilazione ai rinvii in fase preliminare, la notevole percentuale dei rinvii dei processi in “Prima udienza per questioni preliminari e/o sola ammissione delle prove”, che ammontano ben al 27% del totale. Tra le ragioni di rinvio dei processi dibattimentali
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nella loro fase preliminare si registrano inoltre quelli disposti “per questioni processuali”, che, come si può osservare dalla tabella precedente, ammontano al 4,2% del totale. In essi sono stati fatti rientrare (tabella 10) quei rinvii determinati da questioni di astensione/incompatibilità (20,6%) o incompetenza (25%) del Giudice, o ancora per riunione ad altro procedimento penale (47,2%). Le ragioni dei rinvii: “a macchia di leopardo”. La “assenza del Giudice titolare” è una causa marginale di rinvii nel Nord-Ovest (3,8%; che ha però la percentuale più alta, rispetto alle altre aree geografiche, nei rinvii per “precarietà del Collegio 2,9%”), mentre è clamorosamente rilevante al Sud (29,1%); ma colpisce che i valori di tale voce siano nel Nord-Est nettamente superiori (10,1%) rispetto a quelli del Centro (7,5%) e delle Isole (6,8%). I rinvii per “problemi tecnico-logistici” hanno nel Centro Italia la loro incidenza più alta (12,5%), in misura quasi tripla rispetto al resto d’Italia, fatta eccezione per il Sud che si attesta sulla pur ragguardevole misura del 10,3%. Per converso, la maglia nera nella “omessa o irregolare notifica all’imputato” è guadagnata a sorpresa dal Nord-Ovest: 12,6% contro il 10% del Sud, il 9,8% delle Isole, il 7,5% del Nord-Est e il 5,9% dei tribunali del Centro Italia. Equamente distribuiti nei tribunali italiani risultano, invece, i rinvii per “omessa o irregolare notifica alla parte offesa” (Nord-Ovest 1,8%, Nord-Est 1%, Centro1,1%, Sud 1%, e Isole 1,9%) e al difensore (Nord-Ovest 1,5%, Nord-Est 1,1%, Centro 0,7% , Sud 0,7%, e Isole 0,5%). La tematica del “legittimo impedimento dell’imputato e del difensore” registra invece una sostanziale omogeneità nazionale, con qualche prevedibile picco, quanto al difensore, al Sud e nelle Isole, per l’incidenza su tale questione dei grandi processi di criminalità organizzata, che rendono più “ingessata” la disponibilità professionale del difensore. Nel Nord-Est si registra la percentuale più alta dei processi rinviati per “prima udienza per questioni preliminari e/o di sola ammissione di prove” (38,9%). Seguono i tribunali del Centro Italia (34,7%) e del NordOvest (29,6%). Le “esigenze difensive” sono causa di rinvio dei procedimenti soprattutto al Nord (Nord-Ovest 8,3% e Nord-Est 8,5%) mentre il rinvio per discussione è più frequente nelle Isole (21,8%) rispetto al resto del Paese. A Sud si rintraccia una prevalenza di rinvii per “questioni processuali” (6,3%), mentre il “tentativo di conciliazione” è un’opzione scelta soprattutto dal Settentrione (Nord-Ovest 3,3% e Nord-Est 3,5%). In questa zona del nostro Paese appare allo stesso modo prevalente la ragione di rinvio riconducibile alle “repliche” (Nord-Ovest: 5,9%). Infine, il “carico del ruolo” è il motivo di rinvio più rilevato al Centro e nelle Isole (4,2%). Le ragioni di rinvio della istruttoria dibattimentale. Il 9,2% dei processi fissati per la istruttoria dibattimentale vengono rinviati ad altra udienza senza lo svolgimento di alcuna attività per “omessa citazione dei testi del Pm”. Ancora più elevato è il numero delle udienze che vanno a vuoto, e devono essere rinviate, per “assenza dei testi citati dal Pm”, che ammontano al 39,2% delle udienze fissate per la trattazione istruttoria. Irrilevante, invece, la percentuale di processi rinviati per “omessa citazione dei testi della difesa” (0,5%), mentre è contenuta quella dei rinvii per “assenza dei testi citati dalla difesa” (5,1%). Ben oltre la metà (il 54%) dei processi fissati per lo svolgimento della istruttoria dibattimentale viene rinviato senza lo svolgimento di alcuna attività, perché l’atto della citazione del testimone o è stato del tutto omesso o è stato effettuato in modo errato. I rinvii per prosecuzione della istruttoria rappresentano il 32,7% (sul totale dei processi fissati per la istruttoria). Questa voce raccoglie quei processi nei quali viene interamente effettuata la istruttoria che era stata programmata nella precedente udienza, e che vengono rinviati ad altra udienza per la fisiologica prosecuzione della istruttoria che ancora si dovrà svolgere. A questo dato può essere sommato quello, in fondo omogeneo, raccolto dalla voce “per integrazione della prova” (13,3%). Si tratta infatti di rinvii disposti a conclusione della istruttoria dibattimentale, che tuttavia il Giudice ritiene di dovere integrare con ulteriori atti istruttori (esami di nuovi testimoni, confronti, conferimento di perizie, ma anche – fuori dai casi di cui all’art. 507 C.p.p. – acquisizione di documentazione o certificazione: si pensi per esempio alla certificazione relativa a condoni edilizi, o a Casellari giudiziari aggiornati, o all’avvenuto pagamento dell’oblazione, etc.).
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[SCHEDA 46] CIVILE, UNA GIUSTIZIA INFINITA
Un esempio di “virtuosismo” in tema di giustizia civile (nel caos italiano): il caso torinese. Senza richiedere risorse aggiuntive, senza postulare ulteriori riforme del processo civile, il tribunale di Torino ha ottenuto negli ultimi anni risultati così significativi da meritare una specifica menzione della Commissione Europea . Su iniziativa del suo Presidente, sin dal 2001 il tribunale ha messo a punto un “decalogo”, una serie di norme virtuose di comportamento rivolte a giudici e cancellieri per ridurre i tempi dei processi. Nonostante non sia immune dalle carenze di organico e mezzi che affliggono tutti i tribunali della Penisola, quello di Torino ha messo a segno una performance di grande rilievo: considerando solo il contenzioso ordinario, si è giunti a una riduzione del 33% del carico pendente in cinque anni (2001-2006). Per valutare in modo più puntuale gli effetti di tale decalogo, è stato ricostituito il movimento del contenzioso civile ordinario dei tribunali dei nove principali capoluoghi di Regione nel 2001 e nel 2005. L’analisi condotta dall’Eurispes prende in esame il primo grado delle cause civili, e solo il contenzioso, in quanto solo a questo trova applicazione il decalogo di Torino. Sulla base del numero dei procedimenti pendenti iniziali, iscritti e definiti (con sentenza o in altro modo) in corso d’anno, e quelli pendenti finali, per ciascuno dei tribunali presi in esame, negli anni 2001 e 2005, si possono costruire delle misure di produttività che, per quanto approssimative, consentono di valutare l’impatto del “decalogo” di Torino.
Numero di procedimenti pendenti iniziali, iscritti e definiti (con sentenza o in altro modo) in corso d’anno, e quelli pendenti finali Anni 2001-2005 Valori assoluti
2001 Iscritti Esauriti Pendenti finali Pendenti iniziali Pendenti iniziali Torino 36.886 25.235 29.202 32.919 26.003 Bari 100.707 25.184 27.854 98.037 132.397 Bologna 27.133 9.495 11.633 24.995 26.060 Milano 72.504 37.758 40.840 69.422 65.358 Roma 254.411 81.181 114.605 220.987 133.635 Firenze 29.073 10.438 14.659 24.852 22.068 Napoli 225.673 73.612 77.887 221.398 170.624 Venezia 22.320 6.759 11.478 17.601 15.695 Palermo 57.763 16.293 20.352 53.704 46.865 Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Ministero Giustizia - Servizio statistica. Tribunali 2005 Iscritti Esauriti Pendenti finali 26.888 26.540 26.351 45.584 33.584 144.397 9.400 8.950 26.510 43.017 39.916 68.459 73.749 76.891 130.493 12.152 11.365 22.855 78.055 77.501 171.178 8.398 8.053 16.040 15.342 18.343 43.864
Per ciascuno degli anni di riferimento, e sulla base delle definizioni dell’Istat, sono state indicate tali misure, che riguardano la durata media dei processi (e sua variazione percentuale tra 2001 e 2005) e l’indice di smaltimento dei processi.
Durata media dei processi e indice di smaltimento dei processi Anni 2001-2005 Valori assoluti e percentuali
Durata media Durata media Variazione durata 2001 (giorni) 2005 (giorni) media 2001/2005 (%) Torino 468 358 -23,6 Bari 1.368 1.276 -6,7 Bologna 901 1.046 16,1 Milano 659 589 -10,6 Roma 886 640 -27,8 Firenze 784 697 -11,1 Napoli 1.077 802 -25,5 Venezia 799 704 -11,9 Palermo 1.110 983 -11,5 Fonte: Elaborazione Eurispes su dati Istat. Tribunali Indice di smaltimento 2001 (%) 47,0 22,1 31,8 37,0 34,2 37,1 26,0 39,5 27,5 Indice di smaltimento Incremento Indice di 2005( %) smaltimento 2001-2005 50,2 3,2 18,9 -3,3 25,2 -6,5 36,8 -0,2 37,1 2,9 33,2 -3,9 31,2 5,1 33,4 -6,0 29,5 2,0
Il tribunale di Torino, che peraltro già nel 2001 mostrava una durata media del processo civile inferiore a quella degli altri, ha conseguito un’ulteriore, importante riduzione, la terza più ampia nei tribunali considerati. La performance del tribunale di Torino è ancora più evidente per l’indice di smaltimento. Questo, che già nel 2001 era il più elevato tra i tribunali considerati, è ulteriormente cresciuto nel 2005, contrariamente a quanto si osserva in quasi tutte le altre sedi. Il valore dell’indice fatto registrare a Torino nel 2005 è superiore del 35,3% a quello di Roma, il secondo più alto.
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Confrontando le diverse performance dei distretti di Corte d’appello, a parità di risorse, emerge che nel 2006 le uscite complessive del Ministero della Giustizia ammontavano a circa 8 miliardi di euro (poco più di mezzo punto percentuale di Pil), di cui il 65% circa per costi del personale. Più della metà della spesa totale viene destinata alle attività nei distretti di Corte d’appello, le cui risorse dal 1995 al 2006 sono cresciute, in media, del 113% in termini nominali. Per la sola giustizia civile, nel 2006 la spesa ammontava a circa 2 miliardi e mezzo di euro (2,3 miliardi circa nel 2005), impiegati per circa i due terzi nelle retribuzioni di magistrati e personale amministrativo di supporto (rispettivamente il 34% e 33%), per un altro terzo nei servizi (comprese le spese di giustizia e le spese di informatica), e per poco più del 2% negli investimenti. Per valutare, poi, l’efficienza della amministrazione della giustizia civile nei distretti di Corte d’appello è stato messo in relazione per ciascuno di essi una misura della durata media dei procedimenti civili con una stima del loro costo. La durata (o giacenza media) per l’intero distretto è stata calcolata applicando la formula Istat alla somma dei procedimenti della Corte d’appello, dei tribunali e dei giudici di pace. Per quantificare il costo medio dei procedimenti nel distretto si è considerato il rapporto tra la spesa del distretto e il numero medio di procedimenti, nell’anno considerato. Torino, Bolzano, Trento e Trieste, per esempio, oltre a essere i distretti che riescono a concludere più celermente i processi sono anche quelli che presentano i livelli di spesa più elevati: 1.500 euro circa, per procedimento, a Trento e 1.080 a Bolzano, poco meno di mille euro a Trieste e Torino. Al contrario, Bari, Taranto e Napoli sono i distretti dove la spesa per procedimento risulta più bassa (218, 272 e 281 euro circa). I distretti di Cagliari (591 euro) e di Caltanissetta (974 euro), invece, spendono, rispettivamente, come Brescia e un po’ più di Torino, ma impiegano, in media, più del doppio del loro tempo per definire un processo; quello di Reggio Calabria (490 euro) spende la metà di Torino e impiega da tre (primo grado) a quattro volte (secondo grado) di più. È plausibile che vi sia una relazione inversa tra le risorse a disposizione e la durata dei processi civili: quanto maggiori sono le risorse spese per ogni procedimento, tanto minore è la sua durata. Si potrebbe preferire Torino dove i processi sono rapidi, ma si spende relativamente tanto per ogni procedimento, oppure Bari dove i processi sono lenti, ma si spende di meno. Per calcolare la relazione tra spesa e durata dei processi, è stata analizzata la durata media e la spesa per procedimento nei 29 distretti di Corte d’appello in due diversi periodi: nel 2001 e nel 2005; e misurato la variazione percentuale della spesa e della durata: nei cinque anni considerati, la durata media scende in tutti i distretti tranne che in quello di Trieste e si riduce di soli pochi giorni a Trento mentre la spesa per procedimento aumenta quasi dappertutto, ma a tassi molto diversi da distretto a distretto. Dal rapporto tra la variazione della durata e la variazione della spesa risulta che mediamente, un aumento dell’1% di spesa per procedimento è in grado di ridurre di circa il 4,5% la durata media del processo civile. In altri termini, ogni euro in più di spesa per procedimento è in grado di ridurre la durata media del processo di circa tre giorni, e all’inverso, ogni tre giorni di durata del processo oltre la media dovrebbe meritare il taglio di un euro di spesa per procedimento.Si può quindi affermare che, se il benchmarking comparativo “funzionasse” e in tutti i distretti il rapporto tra la durata media e la spesa per procedimento fosse pari a quello di Torino (ossia dello 0,2), si potrebbe diminuire di molto la durata dei processi o contenerne la spesa. Pratiche virtuose da replicare. È ipotizzabile che i significativi miglioramenti ottenuti a Torino si possano replicare anche in altre sedi. Quali sarebbero i risultati concreti dell’estensione di questo programma a tutti i tribunali di Italia? Ipotizzando che si possano ottenere miglioramenti di efficienza analoghi pur partendo da condizioni di produttività così diverse, se tutti i tribunali italiani avessero ottenuto la stessa performance di Torino, il numero di giorni medio per ottenere un giudizio di primo grado per le cause di contenzioso civile sarebbe sceso da 1.007 giorni nel 2001 a 769 giorni nel 2005. La giustizia alternativa: una possibile soluzione? Nel nostro Paese esistono attualmente delle “Istituzioni esterne” al sistema giudiziario che potrebbero, forse, contribuire a disinnescare controversie che altrimenti sfocerebbero in cause civili; tra di esse, merita particolare attenzione il sistema della giustizia cosiddetta alternativa, quella tra arbitrato, conciliazione e risoluzione on line, realtà che nel biennio 2005-2006 ha gestito in Italia quasi 35.000 domande e oltre 50.000 procedimenti. Sono questi alcuni elementi che emergono dal “Primo Rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia”, del Centro Studi A.D.R. Nel biennio 2005-2006 le domande pervenute alle sedi di risoluzione delle controversie alternative (conciliazione, arbitrato e Online Dispute Resolution) sono state 34.603, mentre i procedimenti di giustizia alternativa nel settore civile e commerciale hanno sfiorato i 50 mila (48.686).
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[SCHEDA 47] UN NUOVO RUOLO PER LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
I tribunali amministrativi, insieme a quelli civili e tributari, sono ingolfati da una miriade di cause in lista d’attesa. Nel solo settore amministrativo, le cause pendenti sono ben oltre 600.000 (640.255), le cause iscritte a ruolo sono 62.519 e quelle definite in un anno sono 99.590. Saldo attivo tra ricorsi definiti e depositati. A fronte di 56.374 richieste di intervento, i Tribunali Amministrativi Regionali sono riusciti a definire un numero di ricorsi ben maggiore (92.202). Nel T.A.R. del Lazio, dove i ricorsi pervenuti sono stati quasi 12.000, quelli definiti sono stati 13.792. Addirittura, nel T.A.R. della Campania, il numero dei ricorsi definiti (16.996) sono stati più della metà di quelli pervenuti (7.768). Al contrario, presso il T.A.R. della Sicilia i ricorsi pervenuti (3.403) sono stati superiori rispetto a quelli definiti (2.159). Bilancio positivo del Consiglio di Stato sulle richieste di parere. Sono 4.627 le richieste di parere ricevute (di cui il 29,7% nella sezione prima, il 37,9% nella seconda, il 29,2% nella terza e il 2,6% nella sezione atti normativi) e 5.407 quelle emesse (di cui il 23,7% nella sezione prima, il 36,1% nella seconda, il 37,5% nella terza, il 2,6% nella sezione atti normativi). I provvedimenti cautelari. Per quanto riguarda, infine, i provvedimenti cautelari, se ne registrano oltre 34.000 (34.840) nei T.A.R. e circa 8.000 presso le sezioni giurisdizionali al secondo grado (Consiglio di Stato e Consiglio di Giustizia per la Regione Sicilia). Giudici amministrativi e incarichi extra-giudiziari: una questione aperta. Nel 2006, gli incarichi extragiudiziari autorizzati dal Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa sono stati 151, invece nel 2007 sono stati 275, di cui 164 nel primo semestre e 111 nel secondo semestre. Nel primo semestre 2008, si contano 128 toghe autorizzate, 36 in meno rispetto al primo semestre 2008. Quello degli incarichi extragiudiziari sembra essere un grande affare. I petitum, infatti, sono altissimi e un dipendente dello Stato chiamato, ad esempio, a far parte di un collegio arbitrale, riceve come compenso per l’attività svolta delle somme considerevoli. L’arbitrato rappresenta una sorta di corsia preferenziale parallela ai processi amministrativi e il lodo arbitrale può avere l’efficacia di una sentenza di primo grado. Secondo gli oppositori, questo sistema crea inevitabilmente degli incroci di competenze quanto meno ambigui e rischia di minacciare quell’autonomia, indipendenza e imparzialità, che dovrebbero caratterizzare la funzione della magistratura. All’interno di queste “corti parallele” sono presenti quegli stessi giudici che magari decidono su questioni che toccano lo stesso Ministero, la stessa Regione, la stessa Provincia sulle quali possono essere chiamati a decidere nelle vesti di membri dei Tar o del Consiglio di Stato.
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[SCHEDA 48] GIUSTIZIA DEL LAVORO
Flessibilità o precariato? Questo è il problema. La scelta, da parte del datore di lavoro, di fare delle assunzioni temporanee non sempre nasce da reali esigenze di flessibilità. Non sono legati ad esigenze di flessibilità ben l’86,2%, il 66,4% e il 78,9%, rispettivamente, degli apprendistati, dei contratti di formazione e dei contratti di inserimento. Invece, il motivo del carattere temporaneo del contratto è legato ad esigenze di flessibilità per il 50,4% del lavoro a tempo determinato, e per l’89% del lavoro intermittente o a chiamata (Isfol, 2006). Il sogno di tutti, una opportunità per pochi: il lavoro fisso. Il 79% dei co.co.pro. intervistati, il 73% dei co.co.co. e il 58% dei collaboratori occasionali si dichiarano interessati a convertire la loro collaborazione in un contratto a tempo indeterminato. Contrariamente a quanto previsto dai contratti atipici, più della metà dei lavoratori risponde di dover garantire la presenza regolare presso la sede in cui lavora (64,32% dei co.co.co, 73,73% dei collaboratori occasionali e 69,31% dei lavoratori a progetto) e il rispetto di un orario giornaliero (60,28% dei co.co.co, 72,76% dei collaboratori occasionali e 70,06% dei lavoratori a progetto); circa l’80% di essi, e quasi la metà dei lavoratori a partita Iva, dichiara di usare regolarmente gli strumenti dell’azienda per lo svolgimento delle mansioni assegnate. Indicativa la percentuale di quanti ritengono impossibile convertire il rapporto di lavoro in un contratto a tempo indeterminato: il 25,7% dei co.co.co, il 39,9% dei collaboratori occasionali e il 34,8% dei co.co.pro. Il mobbing: fenomeno in crescita. Secondo i dati emersi dai Centri di ascolto Uil, chi denuncia di subire qualche forma di mobbing nella maggioranza dei casi (60%) è maschio, prevalentemente di età compresa fra i 41 e i 50 anni. È in questa fascia di età, infatti, che si registra la percentuale più alta delle denunce (37,2%). Il mobizzato, inoltre, sarebbe prevalentemente un impiegato (55% dei casi) o un quadro (22,8%). Le forme che il mobbing può assumere sono molteplici: dalle continue critiche alla sistematica persecuzione e all’assegnazione di compiti dequalificanti. Gli attacchi alla vita professionale riguardano il 64% dei casi denunciati, gli attacchi alle relazioni sociali il 24,3% dei casi. Seguono, con percentuali inferiori al 5%, attacchi alla possibilità di comunicare (4,4%), licenziamento (4,3%), maternità (1,8%), dimissioni (1%) e attacchi alla salute (0,2%). I danni da mobbing. Tra i disturbi maggiormente denunciati, lo stress occupazionale è quello prevalente (nel 31,8% dei casi). Seguono la demotivazione (27,6%), i sintomi depressivi (19,5%) e gli stati d’ansia (15,2%). Alcuni dati sui procedimenti giudiziari in materia di lavoro. Tra il 2001 ed il 2005, il numero dei procedimenti in materia di lavoro iscritti nelle Corti di Appello è quasi raddoppiato (+80%), seguito da una contenuta diminuzione (circa -10% rispetto al dato 2005) negli anni 2006 e 2007. Nel periodo 2001-2005, è considerevolmente crescente sia il numero che il peso degli appelli in materia di impiego pubblico che, nel 2001, rappresentavano circa il 4% (671 procedimenti) degli appelli iscritti in materia di lavoro, contro il 26% (7.896 procedimenti) del 2005. Negli anni 2006 e 2007 si è registrata una modesta diminuzione sia del loro numero (in media 6.300 procedimenti iscritti per anno) che del loro peso (in media 23,4%). Il numero dei procedimenti iscritti presso i Tribunali mostra un andamento crescente tra il 2001 ed il 2004, ma complessivamente oscillante, nel periodo 2001-2007, intorno ad una media di circa 155mila iscrizioni per anno, con un numero minimo di iscrizioni registrato nel 2006 (circa 139mila) e massimo nel 2004 (circa 167mila). Il numero totale dei procedimenti iscritti mostra un andamento tendenzialmente crescente nel periodo 20012005 a cui segue, negli anni 2006 e 2007, una diminuzione del numero complessivo di iscrizioni, attribuibile principalmente al minor numero di iscrizioni effettuate presso i Tribunali che, infatti, hanno registrato, nell’anno 2006, una diminuzione di circa il 13,5% delle iscrizioni rispetto al dato del 2005.
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[SCHEDA 49] LA GIUSTIZIA MINORILE IN ITALIA In Italia, ci sono all’incirca 12 milioni di persone sotto i diciotto anni d’età, ovvero un quinto della popolazione: circa il 10-11% dei reati denunciati sono commessi da minorenni, molti da infraquattordicenni, con una percentuale in costante aumento. Quasi 40.000 i minori denunciati nel 2006. Dal 1990 al 1999, il numero dei minorenni denunciati si è mantenuto superiore alle 40mila unità con un valore massimo di 46.051 nel 1996. Nel 2000, si è registrato il livello minimo di minorenni denunciati (38.963 unità), con una diminuzione dell’11% rispetto all’anno precedente. Fino al 2004, si sono registrati dei graduali aumenti, mentre nel 2006 il numero dei minorenni denunciati è diminuito del 2% rispetto al 2005, risultando pari a 39.626. Distinguendo i minorenni denunciati secondo l’età, emerge che la componente imputabile è quella prevalente (84% del totale delle denunce). La componente non imputabile: quanti sono? Il numero dei minorenni denunciati di età inferiore ai quattordici anni ha avuto un andamento crescente fino al 1996, anno in cui è arrivato a costituire il 24% del totale dei denunciati; ha subìto, poi, una diminuzione consistente prima nel biennio 1997-1998 (rispettivamente -15% e 14% rispetto all’anno precedente) e nel biennio 2000-2001 (rispettivamente -15% e -6% rispetto all’anno precedente). Nel 2006, la componente non imputabile ha registrato un aumento del 4% e ha rappresentato il 16% del totale dei minorenni denunciati. Più denunce a carico dei minori italiani. Nel 2006, il 71% (28.213) delle denunce è a carico di minori italiani (a fronte di 11.413 denunce a carico di minori stranieri). Rispetto all’anno precedente, nel 2006, gli italiani sono diminuiti di 1 punto percentuale e gli stranieri di quasi 4 punti percentuali. Considerevole, per i minori italiani, la differenza tra il numero dei denunciati di età inferiore ai quattordici anni (3.924) ed il numero di quelli in età imputabile (24.289). Per gli stranieri, invece, lo scarto tra le due componenti è molto più basso (rispettivamente 2.512 vs 8.901). Nel 2006, rispetto all’anno precedente, si è registrato un aumento dei minori stranieri in età non imputabile (+1,4%), ma una diminuzione di quelli con più di quattordici anni (-5%). Per quanto riguarda gli italiani, sono aumentati (+5,6) i denunciati minori di 14 anni e diminuiti (-2%) quelli della classe d’età 14-17 anni. Le minorenni: le italiane più numerose in valori assoluti, le straniere hanno una maggiore incidenza percentuale. Le minorenni italiane denunciate (3.609), che rappresentano il 13% del totale dei minorenni denunciati di nazionalità italiana, sono numericamente superiori rispetto alle straniere (2.709) che, però, rappresentano il 24% del totale dei minorenni denunciati di nazionalità straniera. Furto: il reato più diffuso. Nella prevalenza dei reati contro il patrimonio (21.508) è evidente in modo particolare il reato di furto (12.670). Seguono, in ordine di frequenza, i reati contro la persona (9.487), i reati contro l’incolumità e la libertà individuale (7.788), costituiti in particolare dalle lesioni personali volontarie (3.602); i reati contro l’economia e la fede pubblica (5.729); contro lo Stato e altre istituzioni sociali e di ordine pubblico (1.922) Invece, registrano minore frequenza i reati contro la vita (198) e quelli contro la famiglia, la moralità pubblica e il buon costume (177). Al Nord le denunce più frequenti. Il 44% dei minorenni denunciati alle Procure della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni nell’anno 2006 ha commesso il reato nelle regioni del Nord, il 18% nelle regioni del Centro, il 23% al Sud e il restante 15% nelle Isole. Inoltre, la componente straniera più consistente è al Centro (47%) e al Nord (41%); per il Sud e le Isole, la percentuale di stranieri è pari rispettivamente all’8% ed al 4%. Rispetto al 2005, è diminuito il numero dei denunciati stranieri al Centro (-12%), al Sud (-5%) e nelle Isole (-22%), mentre al Nord si registra un aumento del 2%. I dati relativi ai servizi minorili. Nel 2007, si sono registrati 3.385 ingressi nei Centri di prima accoglienza, valore decrescente rispetto all’anno precedente (3.505) ed ulteriormente in diminuzione se comparato con l’anno 2005 (-4,1%). La componente straniera ha costituito il 58% dell’utenza complessiva dell’anno 2006. Rispetto al 2005, sia gli ingressi di minori italiani, sia di stranieri, sono diminuiti del 4%. Distinguendo ulteriormente secondo il sesso, si nota la forte prevalenza dei maschi (80%) rispetto alle femmine (20%), molto più evidente tra gli italiani (95% di maschi e 5% di femmine) che tra gli stranieri (72% di maschi e 28% di femmine); la componente femminile è prevalentemente di nazionalità straniera (88% del totale delle femmine). Se si considera l’età dei minori entrati nei Centri di prima accoglienza nell’anno 2006, si nota la prevalenza dei sedicenni e diciassettenni (rispettivamente 27% e 34% del totale degli ingressi), seguiti dai minori di quindici anni (17%). Meno numerosi i quattordicenni ed i minori in età non imputabile (entrambe le categorie si attestano al 10% del totale).
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Gli ingressi negli Istituti penali minorili. Dal 1991 al 2007, l’analisi della serie storica evidenzia come all’aumento registrato nel primo triennio 1991-1993 (rispettivamente 1.954, 2.289, 2.314) è seguita una diminuzione tra il 1994 (2.240) e il 1999-2000 (1.876 e 1.886). Nel 2003 il numero degli ingressi si è attestato a 1.581 e nel 2004 a 1.594, per poi diminuire, nel 2006 con 1.362 ingressi totali registrati, dell’8,5% rispetto all’anno precedente (1.489 ingressi nel 2005), e ancora in flessione nel 2007 (1.337 ingressi complessivi). Nel 2006, il 14% del totale degli ingressi è di genere femminile (in diminuzione rispetto all’anno precedente del 32%). Tra le cause principali dell’ingresso in Ipm, occorre menzionare le nuove immatricolazioni (89%). La maggior parte dei soggetti proviene da un centro di prima accoglienza, mentre i restanti ingressi hanno riguardato, per il 7%, soggetti già detenuti in Ipm nello stesso anno o in anni precedenti e per il 4% soggetti trasferiti, per competenza, da una struttura detentiva per adulti. Nel 2006, la maggior parte delle uscite è avvenuta per trasformazione della misura cautelare (31%); seguono quelle per espiazione della pena (12%), per applicazione dell’indulto (ex legge 241/2006) (12%) e per remissione in libertà (12%). I minori segnalati all’Autorità giudiziaria. I soggetti italiani e stranieri segnalati sono stati complessivamente 23.062, dato in sensibile aumento se comparato con quello registrato nel 2006 (19.920). L’utenza degli Uffici di servizio sociale per i minorenni si è dimostrata in gran parte di nazionalità italiana (nel 2006, il 67% dei segnalati e il 76% dei presi in carico). L’incidenza percentuale dei minori stranieri sul totale dell’utenza degli Uffici di servizio sociale per minorenni è in aumento: infatti, è passata dal 9% del 1998 al 20% del 2006 per i soggetti segnalati e dal 6% del 1998 al 17% del 2006 per i soggetti presi in carico. Nel 2006, l’85,8% dei segnalati e l’89,4% dei presi in carico sono maschi, mentre la componente femminile sembra riscontrare una notevole incidenza nell’utenza di etnia nomade (il 38,4% dei soggetti presi in carico nel 2006, in diminuzione rispetto al 2005 con il 43,2%). Dentro e fuori le Comunità: alcuni dati. Il numero dei collocamenti in comunità ha registrato un considerevole aumento negli anni, passando da 834 nel 1998 a 1.899 nel 2006 (+128%), fino a raggiungere i 2.055 collocamenti nel 2007. Nello stesso periodo, la presenza media giornaliera ha mantenuto un andamento crescente fino al 2002, passando da 173 nel 1998 a 347 soggetti mediamente presenti ogni giorno nelle comunità. Soltanto nel 2003 tale valore è sceso a 327 per poi aumentare nuovamente e, nel 2006, si è attestato sul valore di 463 (leggermente inferiore rispetto ai 470 dell’anno precedente). La maggior parte dei collocamenti in comunità, che si attestano a 4.462 complessivi nel 2007, è stata disposta ai sensi dell’art. 22 Dpr 448/88, ossia come misura cautelare (1.152 collocamenti). Rilevante è anche il numero degli ingressi per applicazione dell’art. 28 Dpr 448/88 (“messa alla prova”), pari a 241, e quelli per trasformazione della custodia cautelare in Ipm nella misura cautelare del collocamento in comunità (374 collocamenti totali, di cui 221 per soggetti minori di nazionalità italiana, 121 per nomadi minorenni e 32 collocamenti per soggetti stranieri). Passando, in ultimo, a considerare i movimenti in uscita dalle Comunità, nel 2007, si distinguono, in particolare, le uscite per fine misura (244 a fronte delle 295 del 2006), così come quelle per trasformazione della misura cautelare (364 uscite complessive, di cui 60 per prescrizione, 175 con obbligo di permanenza presso la propria abitazione, 129 per custodia cautelare). Di rilievo sono, infine, le uscite per revoca (122 nel 2007 a fronte delle 148 registrate nel 2006) o per decorrenza dei termini della misura cautelare (79 uscite nel 2007, dato rimasto quasi invariato rispetto all’anno precedente (con 67 uscite).
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[SCHEDA 50] IL MONDO PARALLELO: IL CARCERE E I SUOI ABITANTI Al 1° semestre 2008, il numero totale dei detenuti ammonta a 55.057, di cui 52.647 sono uomini e 2.410 donne. 45.576 (82,8%) sono i reclusi nelle case circondariali (161), 8.027 (14,6%) nelle case di reclusione (38) e 1.454 (2,6%) negli istituti per le misure di sicurezza (7). Identikit del detenuto. La quasi totalità dei reati commessi in Italia ha come autore gli uomini: 95,6% a fronte del 4,4% delle donne. A scontare una pena detentiva sono prevalentemente i reclusi con un’età compresa tra i 30 e i 34 anni (17,7%), seguiti dai 25-29enni (16,6%) e dai 35-39enni (16,3%). Leggermente inferiore è la percentuale di detenuti che appartengono alle fasce d’età 40-44 anni (13,2%), 50-59 anni (10,4%), 21-24 anni (9,4%) e 45-49 anni (9,2%). Al contrario, poco rilevante è la quota di giovanissimi (3,1% per i 18-20enni) e anziani (3,2% per i 6069enni e 0,7% per gli over 70). Quasi la metà dei detenuti sono celibi/nubili. Circa la metà dei detenuti sono celibi/nubili (46,1%). Il 29,6% è coniugato mentre si attesta al 7% la quota di conviventi. Decisamente irrisorio è, infine, il numero di separati, divorziati e vedovi (rispettivamente 3,8%, 2,3% e 1,1%). Bassa istruzione = maggiore predisposizione ai reati? Il 34% dei detenuti è in possesso della sola licenza media inferiore, mentre possiede la licenza elementare il 16,1%. Al contrario, è nettamente inferiore la percentuale di detenuti laureati (1%), diplomati in istituti professionali (1%) e presso scuole medie superiori (4,8%). Quali sono i principali reati? I principali reati ascritti alla popolazione detenuta sono quelli contro il patrimonio (29,9%), contro la persona (16,2%) e quelli previsti dalle leggi sulla droga (15,5%) e sulle armi (14,7%). Scarsamente significativa è, al contrario, la percentuale di reclusi che sconta pene per reati contro la Pubblica Amministrazione (4%), per associazione di stampo mafioso (3%) e prostituzione (0,6%). Il mondo parallelo degli stranieri. Al 30 giugno 2008, sono 20.617 (37,4% del totale) i detenuti stranieri presenti nelle carceri italiane e si tratta, prevalentemente, di uomini (94,8% del totale nel primo semestre del 2008). Tra il 2000 e il primo semestre del 2008, il numero di detenuti stranieri è aumentato del 32,3%, passando da 15.582 a 20.617 individui. Il Marocco (21,8%), i paesi dell’Ue (18,8%), l’Albania (12%) e la Tunisia (11%) rappresentano le principali aree geografiche di origine dei detenuti stranieri. Scarsamente significativa è, invece, la percentuale di reclusi provenienti dal Medio Oriente (1,6%), dall’America centrale (1,2%) e settentrionale (0,2%). Il sovraffollamento delle strutture carcerarie. La maglia nera spetta all’Emilia Romagna presso di cui si registrano 3.815 presenze, dato, questo, che supera sia la capienza massima regolamentare (2.270) che quella tollerabile (3.761) prevista nei luoghi di detenzione di questa regione. Stesso discorso vale per il Trentino Alto Adige, nelle cui carceri sono presenti 314 detenuti a fronte dei 256 posti regolamentari e dei 294 tollerabili. Occorre segnalare inoltre che sono numerose le regioni nelle quali le presenze sono al limite del dato di tollerabilità (come Campania, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Lazio). Regioni come Umbria (presenza = 868, capienza regolamentare = 1.086, capienza tollerabile = 1.499), Sardegna (presenza = 1.845, capienza regolamentare = 1.966, capienza tollerabile = 2.637) e Valle d’Aosta (presenza = 165, capienza regolamentare = 181, capienza tollerabile = 188) non sembrano essere coinvolte dal problema della eccessiva presenza di reclusi nelle carceri. La lentezza dei tempi della giustizia. Sono ancora 15.961 i detenuti in attesa di primo giudizio; sono, invece, 9.115 gli imputati appellanti. Decisamente più basso è il numero di imputati ricorrenti (3.451 soggetti contro i quali è stata emessa una sentenza penale di secondo grado e che sono in attesa del giudizio di Cassazione), di internati (1.535 soggetti sottoposti all’esecuzione delle misure di sicurezza detentive, quali: colonia agricola, casa di lavoro, casa di cura e custodia, ospedale psichiatrico giudiziario) e di imputati misti (1.512). Ammontano, infine, a 23.243 i soggetti il cui iter giudiziario si è concluso con una sentenza di condanna definitiva della Cassazione. La vita in carcere tra sopravvivenza e integrazione. Secondo i dati forniti dal Dap, sono 13.413 (il 24,4% del totale) i detenuti-lavoratori, di cui 12.521 uomini e 892 donne. I reclusi che cercano il riscatto prestando la propria opera alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria sono 11.633 (ovvero l’86,7% del totale) e quelli, invece, che non lavorano alle dipendenze del Dap sono 1.780, ovvero il 13,3% del totale. Adottare misure di detenzione alternative. Secondo i dati forniti dal Dap, se fosse applicato il regime della messa in prova ai lavori utili (con eventuale estinzione del reato) ai condannati ad una pena fino a due anni, si potrebbero aprire le porte del carcere a 6.036 detenuti italiani. Quando si perde la speranza… Sono 45 (0,1% del totale) i detenuti che, nel solo 2007, hanno deciso di togliersi la vita: le vittime sono 29 italiani e 16 stranieri. Molto frequenti sono inoltre gli atti di autolesionismo (3.687, di cui 1.564 italiani e 2.123 stranieri) e tentati suicidi (610, di cui 309 italiani e 301 stranieri). I decessi per cause naturali sono 76 (0,2 del totale): anche in questo caso, il numero degli italiani (63) è maggiore rispetto a quello degli stranieri (13). 77
CAPITOLO 6 SICUREZZA
[SONDAGGIO - SCHEDA 51] IL SENSO DI (IN)SICUREZZA DEGLI ITALIANI
Per una migliore e puntuale analisi, anche quest’anno Eurispes ha dedicato una intera sezione della rilevazione al tema della sicurezza, con lo scopo di valutare, in modo più completo, gli umori e le sensazioni dei cittadini. Seppure in calo rispetto al 2008 (38,3%), il 24,2% dei cittadini teme il furto nella propria abitazione. Sostanziale, inoltre, la percentuale di quanti dichiarano di avere paura di un’aggressione fisica (17,1%) rispetto all’anno precedente (+9%). Segue chi teme la truffa (14,6% vs 9% del 2008) e chi teme il furto dell’automobile o del motorino (10,6% vs 11,4% del 2006). Sfiorano percentuali al di sotto del 10%, la paura dello scippo o del borseggio (9,6% vs 13,2% del 2008), la paura della violenza sessuale (8,4% vs 6,1% del 2008) e la paura della rapina ((8,1% vs 7,4% del 2008). Nel Nord-Est è maggiore il timore di subire un furto nella propria abitazione: lo denuncia il 28,3% di chi vive in quest’area del Paese, seguito dal 27,6% del Centro, il 26,8% del Sud, il 23,4% delle Isole e il 16,7% del NordOvest. Nel Nord-Ovest e nel Nord-Est del Paese la paura di subire il furto dell’automobile o il motorino è poco sentita, rispetto alle restanti macro aree analizzate: denuncia tale timore appena, rispettivamente, il 5% e il 4,7% del campione che vive in queste zone contro il 18,8% delle Isole, il 15,2% del Sud e il 12,6% del Centro. La paura dello scippo e del borseggio è maggiormente sentita nel Nord-Ovest (13,2%) e al Sud (12,1%). Il timore di essere truffati, invece, è maggiore nel Nord-Ovest (17,4%), mentre lo è meno nel Nord-Est (11,8%). Le Isole mostrano maggiore paura nei confronti della violenza sessuale: lo afferma l’11% dei cittadini che risiede in quest’area contro il 9,3% del Nord-Ovest, l’8% del Nord-Est, il 7,9% del Centro e il 6,6% del Sud. Proprio per rispondere a risonanze mediatiche spesso non realistiche, si è voluto indagare quale tipologia di reati è stata “realmente” subita dai cittadini nell’ultimo anno. A conferma di ciò, ovvero del fatto che spesso l’informazione veicola notizie non del tutto rispondenti a realtà, la maggior parte dei cittadini (una media nazionale dell’80%), afferma di non aver subìto nessuno di questi reati. D’altra parte, l’elevato timore nei confronti del furto nella propria abitazione è confermato da un italiano su dieci (10,9%) che dichiara di esserne stato vittima. Seguono le truffe e/o i raggiri (denunciati dal 9,3% dei cittadini) e le minacce (9,1%). Meno frequenti i casi di scippo (7,3%), le ruffe su Internet (7,3%) e il furto dell’automobile (7,1%); ancora meno, le aggressioni fisiche subite (4,9%) e le truffe e i raggiri nel campo del lavoro, o meglio, nella ricerca dello stesso (4,7%). L’1,7%, infine, confessa di essere stato vittima, nell’ultimo anno, di violenza sessuale. I furti in casa sono stati più frequenti al Sud (16%) e meno nelle Isole (7,2%) e nel Nord-Ovest (7,5%). Chi vive al Centro denuncia in misura maggiore il furto di automobili e/o motorini (10,7%) e le truffe e/o i raggiri (12,6%). Nel Nord-Est, più spesso che nelle altre zone del Paese, si è stati vittime di scippi e/o borseggi (11,3%). Nelle Isole, invece, le truffe su Internet sembrano essere maggiormente diffuse rispetto alle altre aree geografiche (12,5% vs l’8,9% del Centro, il 7,5% del Nord-Est, il 5,8% del Sud e il 4,6% del Nord-Ovest). Criminali: italiani o stranieri? Oltre la metà dei cittadini (57,6%) afferma che autori dei crimini siano italiani e stranieri in egual misura. Solo un italiano su quattro circa (25,4%) “punta il dito” contro lo straniero, mentre rappresentano il gruppo meno numeroso (11%) coloro che sono convinti che a compiere reati nel nostro Paese siano, soprattutto, nostri connazionali. La convinzione che a compiere atti criminosi siano italiani e stranieri nella stessa misura sembra essere propria, soprattutto, di coloro che politicamente si identificano nell’area ideologica di sinistra (63,7%) e centrosinistra (66,3%). È, infine, il campione che vive nell’area del Nord-Est (65,1%) a ritenere in misura maggiore che non vi sia differenza di nazionalità quando si discute di soggetti autori di crimini, anche se questa è l’opinione diffusa in misura pressocché uguale in tutte le altre aree del Paese (56,9% al Nord-Ovest, 56,1% al Centro, 55,8% nelle Isole e 54,5% al Sud). L’atteggiamento più critico nei confronti degli italiani (e del loro rapporto con la criminalità) è assunto, però, dai residenti delle Isole, che nel 19,5% dei casi attribuisce la responsabilità degli atti criminosi ai propri connazionali. 78
Prevale la tendenza alla “tipizzazione” del criminale. Quando, però, si entra nello specifico e si domanda se alcune nazionalità commettano crimini in misura maggiore rispetto ad altre, la risposta è positiva nel 66,4% dei casi. I dati quindi confermano una tendenza alla “tipizzazione”: il criminale, cioè, è colui che compie atti criminosi perché è in possesso di determinate caratteristiche. Questo punto di vista è maggiormente denunciato da coloro che vivono nelle Isole (76,6%), a dispetto di un diffuso pregiudizio che vede il Nord maggiormente “ostile” nei confronti dello straniero. I cittadini che si riconoscono nell’area politica di destra (81,1%) e di centrodestra (82,2%) sono coloro che, in misura maggiore, denunciano il fatto che vi siano delle nazionalità che, più di altre, risultano coinvolte nella commissione di reati. Quali stranieri, quali criminali. Rumeni (40,7%) e albanesi (33,3%) rappresentano gli stranieri più “temuti” dalla cittadinanza. Seguono marocchini (10,5%), cinesi (4,4%) e tunisini (3,5%) mentre le altre nazionalità sembrano non destare particolare preoccupazione nei cittadini. Assenza di giustizia. In media un italiano su cinque (21,3%) correla l’insorgere e il perpetuarsi di fenomeni “criminali” al mancato funzionamento della macchina della giustizia in Italia: più precisamente, all’applicazione di pene non adeguate alla gravità del crimine commesso e all’abitudine diffusa nel nostro Paese alle scarcerazioni facili. Segue come possibile causa del fenomeno la mancanza di una cultura della legalità, che raccoglie il 15,3% dei consensi. Il potere delle organizzazioni criminali è indicato come causa, invece, dal 14,7% dei cittadini, mentre a collegare il diffondersi della criminalità alla mancata integrazione sociale di coloro che divengono autori di reati è il 14,6% degli interpellati. Quasi un cittadino su dieci (9,3%) attribuisce parte di responsabilità allo Stato, mentre motivazioni strettamente legate alla sfera economica – nello specifico, la difficile situazione vissuta e/o la mancanza di lavoro – raccolgono, rispettivamente, l’8% e il 6,1% dei consensi. Solo il 3,7% ritiene che a scatenare i fenomeni di criminalità siano, soprattutto, le scarse risorse a disposizione delle Forze dell’ordine. A ritenere che sia il disagio sociale a scatenare fenomeni diffusi di criminalità è soprattutto il Nord-Ovest del Paese (20,4% contro il 14,5% del Sud, il 12,6% del Nord-Est, l’11,8% del Centro e il 10,1% delle Isole). Collegano alla mancanza di una cultura della legalità la diffusione del fenomeno, soprattutto, quanti vivono nel Nord-Est (18,9%) e al Centro (18,2%). Al Sud, invece, sono più portati a indicare le difficili condizioni economiche come principale causa scatenante la commissione di atti criminosi (13,7% contro il 7,4% del Centro, il 7,4% del NordOvest, il 4,5% del Nord-Est e il 4,5% delle Isole). Le Isole, infine, risultano maggiormente critiche nei confronti della macchina della giustizia: pene poco severe e/o scarcerazioni facili sono la principale causa del diffondersi di fenomeni criminali secondo il 32% di chi vive in quest’area del Paese (contro percentuali significativamente inferiori registrate nelle altre zone). Nell’area politica di destra si tende a spiegare il fenomeno come stretta conseguenza dell’insufficiente presenza delle Istituzioni e dello Stato (14,2%) e dell’aumento del numero di immigrati nel nostro Paese (15,7%). A sinistra sono portati a leggere il fenomeno in chiave sociale: nel 22,9% viene indicato il disagio come spinta a commettere reati. Il Centro, invece, si distingue quando si tratta di collegare la criminalità alla mancanza di lavoro (10,1%). Un Paese affetto da criminalità può guarire? Il 37% dei cittadini indica nella certezza della pena lo strumento ideale per far fronte al diffondersi della criminalità. Seguono, come possibili soluzioni al fenomeno, l’inasprimento delle pene (19,4%) e la promozione di una cultura della legalità (13,8%), strumenti strettamente legati alla sfera della giustizia. Incrementare l’occupazione (7,3%) e rafforzare il dispiegamento delle Forze dell’ordine nel nostro Paese (7,2%) sono soluzioni indicate da una percentuale significativamente inferiore dei cittadini. Segue la limitazione dell’accesso agli immigrati (6,5%) e l’offerta di sostegno a chi si trova in difficoltà (4,6%). Nello schieramento ideologicamente opposto si ritiene invece che il fenomeno si arginerà solo promuovendo nel nostro Paese una più convinta cultura della legalità (22%) e incrementando l’occupazione (17,6%).
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[SCHEDA 52] LA SPESA PER LA SICUREZZA (PUBBLICA E PRIVATA)
I costi della sicurezza pubblica. Ogni cittadino italiano destina per le spese a sostegno dell’ordine pubblico il 2,1% della ricchezza nazionale, pari a circa 500 euro pro capite. Fra i paesi della Ue, il nostro è secondo solo alla Gran Bretagna (2,5%), mentre precede la Spagna (1,85%), la Germania (1,7%) e la Francia (1,2%). L’Italia, inoltre, è il paese con il maggior numero di uomini impiegati delle Forze dell’ordine: 328.368 unità effettive tra Arma dei Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Corpo Forestale dello Stato e Polizia Penitenziaria. Quindi, con 571 addetti (ogni 100.000 abitanti) all’ordine pubblico, il nostro Paese supera la Germania (321), la Gran Bretagna (268), la Francia (227) e la Spagna (210). Il decreto del Presidente della Repubblica (26 giugno 2008), poi, ha autorizzato ad assumere un contingente di personale a tempo indeterminato (3.913 unità) destinato all’Arma dei Carabinieri, alla Polizia di Stato, al Corpo della Guardia di Finanza, al Corpo di Polizia Penitenziaria ed il Corpo Forestale dello Stato, per una spesa complessiva pari a 69.616.233 euro per l’anno 2008 e ad una spesa complessiva annua lorda pari a 139.232.466 euro a decorrere dall’anno 2009. Malgrado questo, le risorse destinate alle Missioni “Difesa e sicurezza sul territorio” e “Ordine pubblico e sicurezza” hanno subìto riduzioni pari rispettivamente a 150 e 47 milioni di euro. Tali riduzioni, sono state più che compensate, però, dagli incrementi apportati ai fondi stanziati per l’espletamento dei compiti istituzionali dei Ministeri della Difesa e dell’Interno allocati nella Missione “Fondi da ripartire” (circa 500 milioni). Tenendo conto della composizione dell’interno bilancio dello Stato per Missioni, per l’anno 2008 quella relativa alla “Difesa e sicurezza del territorio” è l’ottava spesa primaria, con il 5% di risorse dedicate, contrariamente all’anno 2007 in cui era la settima spesa primaria, con il 4,85% del bilancio a disposizione. Il 27% viene utilizzato per le “relazioni finanziarie con le autonomie territoriali”, il 16% per “politiche previdenziali”, il 10% per “Istruzione scolastica” e il 6% rispettivamente per “politiche economico-finanziarie e di bilancio”, “l’Italia in Europa e nel mondo” e “diritti sociali, solidarietà sociale famiglia”. Il business della sicurezza privata. Il 45% delle spese dedicate a rendere le abitazioni impenetrabili riguardano antifurti, dispositivi elettronici e sistemi di “sicurezza passiva”. Il mercato del comparto della sicurezza antintrusione, in quest’ultimo anno, ha visto nascere nuovi fornitori per un mercato che vale circa 170 milioni di euro. Si calcola che il comparto dia lavoro a circa 100.000 addetti nelle varie fasi della catena del prodotto. Nella Finanziaria 2008, sono state previste agevolazioni per l’acquisto di apparecchi di prevenzione contro furti e rapine, in favore di negozi, pubblici esercizi e tabaccherie. Il credito d’imposta concedibile per i periodi d’imposta 2008, 2009 e 2010, viene determinato nella misura dell’80% del costo sostenuto, fino all’importo massimo di 3.000 euro, per ciascun beneficiario. Possono beneficiare del credito d’imposta le imprese commerciali di vendita al dettaglio e all’ingrosso e quelle di somministrazione di alimenti e bevande. La spesa per la sicurezza delle tecnologie informatiche. Le spese per rendere invulnerabili questi sistemi sono elevatissime: più di 300 milioni di euro spesi da aziende dalle piccole alle grandi dimensioni, compreso il settore bancario, per acquistare o rinnovare software , hardware e servizi a loro collegati. Il 40% della spesa in sicurezza, infatti, è oggi rivolto ad attività di sicurezza dei dati. Negli ultimi dieci anni l’Information security sta diventando una componente di business. Oggi i criminali informatici compiono frodi a scopo di lucro e minano alla proprietà intellettuale di un’azienda. Internet, inoltre, è alla base di molte delle transazioni di business e il maggior traffico di operazioni sulla Rete ha fatto crescere anche i rischi.
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[SCHEDA 53] MAFIA SPA Napoli, la provincia più colpita dalle associazioni per delinquere… Dal 1986 ai primi 10 mesi del 2008, i reati commessi nel capoluogo partenopeo sono 2.010 e a Roma 1.106. Seguono Milano (657), Bari (531) e Catania (508). …e la più interessata da associazioni di tipo mafioso. Il primato di 465 reati commessi dalle associazioni di tipo mafioso spetta ancora a Napoli, seguito, con un distacco di 145 reati, da Reggio Calabria (320), Catania (270), Palermo (196) e Catanzaro (149). Le proposte di sorveglianza speciale all’Autorità Giudiziaria. Nei primi 10 mesi del 2008, sono state 3.485 le proposte di sorveglianza speciale all’Autorità Giudiziaria, il 5,2% in più rispetto al 2007 (3.313), mentre di misure di sorveglianze speciale ne sono state irrogate 2.954, con una differenza maggiore del 4,6% con il 2007 (2.824). 2,9 miliardi i valori sequestrati e confiscati alla Camorra. Su un totale di 5.282.383.752 euro, quasi due terzi sono valori sequestrati (2.493.100.711 euro) e confiscati (482.374.000 euro) alla Camorra. Il restante un terzo è suddiviso tra le altre organizzazioni mafiose: Cosa Nostra (1.461.863.195 euro), ’Ndrangheta (231.526.353 euro) e Criminalità Organizzata Pugliese (183.615.493) e altre (429.904.000). I business delle criminalità organizzate. Cosa Nostra, ’Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita hanno fatturato insieme, solo nel 2008, circa 130 miliardi di euro, con un utile che sfiora i 70 miliardi al netto degli investimenti e degli accantonamenti. Al primo posto degli introiti, iscritti tra le attività nel bilancio di queste mafie, i traffici illeciti, che fanno segnare un attivo di 62,80 miliardi di euro. La principale fonte di guadagni resta il traffico di droga con 59 miliardi di euro, mentre armi e altri traffici costituisco 5,80 miliardi dell’attivo, il contrabbando 1,20 miliardi e la tratta degli esseri umani 0,30. Ancora, 21,60 miliardi di euro arrivano dalle tasse mafiose, ovvero racket (9 miliardi) e usura (12,60 miliardi); da furti rapine e truffe “solo” un miliardo. L’attività imprenditoriale porta in bilancio 24,70 miliardi di euro di attivo: appalti e forniture pesano per 6,50 miliardi, agromafia 7,50 miliardi, giochi e scommesse 2,40 miliardi, contraffazione 6,30 miliardi, abusivismo 2,2 miliardi. Un mercato emergente che inizia a registrare un importante giro di affari è quello delle ecomafie che pesa per 16 miliardi di euro, marginale invece il giro della prostituzione che frutta solo 0,60 miliardi di euro, mentre da proventi finanziari arrivano infine 0,75 miliardi. Per un totale di 130 miliardi di fatturato da cui vanno sottratti 60 miliardi di euro di passività per stipendi di capi, affiliati, detenuti e latitanti per un totale di 1,76 miliardi di euro, 0,45 miliardi spesi per la logistica (covi, reti ed armi). Per la corruzione, la Mafia spende 3,8 miliardi di euro, altri 0,70 miliardi servono alle spese legali, per gli investimenti 30 miliardi di euro, riciclaggio 22,50 miliardi e infine 7,50 miliardi di euro vanno in accantonamenti. Il solo ramo commerciale della criminalità mafiosa e non, che incide direttamente sul mondo dell’impresa, ha ampiamente superato i 92 miliardi di euro, una cifra intorno al 6% del Pil nazionale. Ogni giorno una massa enorme di denaro passa dalle tasche dei commercianti e degli imprenditori italiani a quelle dei mafiosi, qualcosa come 250 milioni di euro al giorno, 10 milioni l’ora, 160mila euro al minuto. Il settore più in crescita nel giro d’affari dei reati che incidono più direttamente sulla vita delle imprese e che in totale pesano sulle stesse per 32 miliardi di euro, è quello dell’usura: aumentano infatti gli imprenditori colpiti, sale la media del capitale prestato e degli interessi restituiti nonché dei tassi di interesse applicati, facendo lievitare il numero dei commercianti colpiti ad oltre 180.000, con un giro d’affari che oscilla intorno ai 15 miliardi di euro. Stabile il giro del racket delle estorsioni, dove rimane sostanzialmente invariato il numero dei commercianti taglieggiati, pari a 160mila, con una lieve contrazione dovuta al calo degli esercizi commerciali e all’aumento di quelli di proprietà mafiosa. Cala anche il contrabbando, in parte sostituito da altri traffici, mentre cresce il peso economico della contraffazione, del gioco clandestino e delle scommesse. Un euro per tenere un banco al mercato a Palermo, tra i 5 e i 10 a Napoli; un massimo di 500 euro per un negozio, ma se è elegante o nel centro il prezzo sale a mille. Se si possiede un redditizio supermercato non se ne esce con meno di 3mila euro, ma può accadere che se ne debbano pagare 5mila e, se si ha aperto un cantiere, la somma da sborsare a Palermo è di 10mila euro: sono le “cifre” del “pizzo” tra Palermo e Napoli, richieste che ultimamente, sono diventate “soft”, ma non per questo meno opprimenti e generalizzate. Inoltre, l’avvento dell’euro pesa non solo sulle tasche dei contribuenti del fisco, ma anche in quelle di chi paga pegno alle mafie: i soldi versati nelle “bacinelle” hanno superato abbondantemente i 6 miliardi di euro. Un costo che, rapportato alla crisi economica, diventa sempre più insopportabile per le imprese che preferiscono chiudere o cambiare città, piuttosto che denunciare. I commercianti taglieggiati oscillano intorno ai 150.000, mentre quelli 81
coinvolti in rapporti usurari è sensibilmente aumentato e stimato in oltre 180.000. Gli interessi usurai praticati dalle mafie sono ormai stabilizzati ad oltre il 10% mensile, ma cresce il capitale richiesto e gli interessi restituiti. Nel complesso, il tributo pagato dai commercianti ogni anno a causa di questa lievitazione si aggira in non meno di 15 miliardi di euro. Un terzo dei commercianti coinvolti si concentra in Campania, Lazio e Sicilia, ma preoccupa anche il dato della Calabria, il più alto nel rapporto attivi/coinvolti. La Campania detiene infatti il record degli importi protestati (736.085.901 euro) seguita dalla Lombardia e dal Lazio. Lo stesso Lazio (5,34%), la Campania (4,46%) e la Calabria (3,53%) sono le regioni con il più alto numero di protesti in rapporto alla popolazione residente. Napoli è la città nella quale lo scorso anno si sono registrati più fallimenti (7,2%) che rappresenta il 15% del totale nazionale. Tutti sintomi di una fragilità e debolezza che colpisce innanzitutto i negozi, grandi o piccoli che siano. Alle aziende coinvolte vanno aggiunti gli altri piccoli imprenditori, artigiani in primo luogo, ma anche dipendenti pubblici, operai, pensionati, facendo giungere ad oltre 600.000 le persone invischiate in patti usurari, a cui vanno aggiunte non meno di 15.000 persone immigrate impantanate tra attività parabancarie ed usura vera e propria.
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[SCHEDA 54] GLI OMICIDI
Omicidi: fenomeno in calo. Nel 2006, l’Italia è risultata quinta tra gli Stati dell’area europea interessati dal fenomeno degli omicidi, dopo paesi come Turchia, Francia, Gran Bretagna e Germania. Dal 1991, anno in cui si registra il picco più alto con 1.901 omicidi, la parabola è discesa notevolmente fino a registrare, nel 2008, il minimo storico di 512 unità. L’andamento del fenomeno presenta picchi consistenti negli anni 1990 e 1991, con tassi che superano i 3 omicidi ogni 100.000 abitanti. Dopo questo periodo la curva, con una certa regolarità, scende per assestarsi ad un tasso di 0,85/100.000. Nel Meridione incidenza doppia di omicidi volontari rispetto al Centro-Nord. Nel 1991, l’Italia meridionale-insulare registra un tasso di 7 omicidi ogni 100.000 abitanti, dato imputabile ad un periodo di forte attività delle organizzazioni criminali che operano principalmente al Sud (Mafia, ’Ndrangheta, Camorra e Criminalità organizzata pugliese). Dal 1992 in poi, la curva decresce fino ad arrivare a poco meno di 2 omicidi ogni 100.000 abitanti nel 2008. Sebbene gli omicidi volontari siano meno frequenti nelle zone del Centro-Nord, le due curve, dal 2002 in avanti, presentano tassi molto simili, pari a circa 2 ogni 100.000 abitanti. Tuttavia, nei primi dieci mesi del 2008, il tasso del Sud è pari a 1,22 mentre al Centro-Nord a 0,66. Tasso di omicidi volontari: Sicilia nella media italiana. Meno di un omicidio ogni 100.000 abitanti: sono questi i valori cui si assesta la Sicilia nel 2008, dopo un tasso di circa 4 omicidi nel 1986 e il picco nel 1991 con 10 omicidi. La Valle d’Aosta fa registrare 0 omicidi commessi nel 2008 (1,3 nel 1986). Seguono Abruzzo (0,15), Trentino Alto Adige (0,2) e Friuli Venezia Giulia (0,41). Nello stesso anno, le due regioni che presentano il più alto tasso di omicidi volontari consumati sono la Campania (1,69) e la Calabria (2,64). In Campania, escludendo il 1991 e 1992 (anni tragici sotto il profilo della sicurezza), si riscontra una differenza di 5 punti tra il tasso più alto registrato nel 1991 (6,7 per 100.000 abitanti) e quello più basso del 2008. In Sicilia la stessa differenza si assesta a 9 punti. A Napoli e Milano il maggior numero di omicidi. Negli ultimi venti anni, gli omicidi sono stati più frequenti nelle grandi città che nei centri più piccoli. Infatti, la città partenopea, nei primi 10 mesi del 2008, conta 53 omicidi commessi, pur con un tasso sceso al valore minimo di 1,71. A Milano, gli omicidi commessi sono 35. Seguono Roma (28), Reggio Calabria e Caserta (22). Inoltre, dal 1992 al 2008, a Napoli se ne contano 1.869, nel capoluogo lombardo 743, a Catania 754, a Reggio Calabria 731 e a Roma 683. La flessione delle città siciliane nel tasso di omicidio. Catania e Palermo rilevano un andamento decrescente e repentino dal 1986 al 2008. Catania, da tassi di 12,4, 16,8 e 12,9 registrati rispettivamente negli anni 1988, 1992, e 1996 passa a 2,6 omicidi ogni 100.000 abitanti nel 2006 e a 0,9 omicidi nel 2008. Negli anni Novanta, fino al 1996, gli omicidi in questa città rappresentavano un terzo di quelli avvenuti nelle grandi città meridionali e insulari. Anche Palermo presenta un andamento di interesse, arrivando nel 2008 ad un tasso di 0,53 omicidi ogni 100.000 abitanti. A conferma di questo trend, sono i valori registrati da Enna e Siracusa, con assenza totale di casi di omicidio volontario, insieme a Forlì, Ravenna e Ancona. Inoltre, l’analisi dei dati sul lungo periodo 1992-2008 conferma province come Isernia (7), Rieti (11), Verbania (12), Biella (13) e Sondrio (14) tra quelle con meno avvenimenti delittuosi omicidiari. Gli omicidi volontari per categoria. Solo il 17% degli omicidi volontari ha origine mafiosa ed il 4% è avvenuto in circostanze di furti o rapine. Gli omicidi che avvengono in famiglia o all’interno di “passioni amorose” (36%) sono quelli numericamente più rilevanti. Il 16% degli omicidi avvenuti per lite o per futili motivi denota una tendenza all’aggressività diffusa, specie nelle regioni settentrionali, dove i luoghi di ritrovo giovanile spesso si tramutano in spazi di violenza e di contesa. Non destano particolare allarme sociale gli infanticidi: l’unico caso, nei primi dieci mesi del 2008, si è verificato in provincia di Vicenza. Per quanto riguarda i tentati omicidi, gli unici dati di rilievo sono quelli in seguito a furto o rapina (92%), gran parte consumati nel Meridione d’Italia e dalla criminalità non professionistica. Gli omicidi da incidente stradale e sul lavoro. Se negli ultimi anni gli omicidi sono diminuiti di un terzo (da 1.042 casi nel 1995 a 512 nel 2008), nei cantieri e sui posti di lavoro, lo scorso anno, sono morti 1.170 operai di cui quasi la metà in infortuni “stradali”, nel tragitto casa-lavoro o travolti mentre lavoravano in strada. Escludendo i cosiddetti infortuni “in itinere” o comunque avvenuti in strada, non rilevati in modo omogeneo da tutti i paesi europei, si contano 918 casi in Italia, 678 in Germania, 662 in Spagna, 593 in Francia (in questo caso il confronto è riferito al 2005). Confrontando gli omicidi con i morti per incidenti stradali, si nota che i decessi in incidenti automobilistici sono otto volte gli omicidi. Nel 2008, in Italia sono stati 905 gli incidenti automobilistici che hanno provocato la morte. Al contrario, gli omicidi preterintenzionali non sono allarmanti, con i soli 28 casi nel periodo del 2008 fin qui considerato.
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[SCHEDA 55] L’USURA: IL CREDITO CHE CONSUMA
Italia “usurata”. L’usura è un fenomeno diffuso in tutta Italia, anche se risulta più marcato nel Mezzogiorno. La maggior parte dei casi continua a rimanere sommersa e negli ultimi anni il numero delle denunce risulta addirittura in calo. Infatti, è stata registrata una netta diminuzione di casi di usura risolti nell’ultimo anno (337), il 10,4% rispetto all’anno precedente (372). Nel 2004 erano stati risolti 380 casi, 383 nel 2005 e 340 nel 2006. Napoli la città più colpita dal fenomeno. Napoli (62) è tra le province italiane quella più interessata dal delitto di usura, seguita da Bari (18), Torino (17), Milano e Roma (15). Napoli (205) risulta capolista anche nella graduatoria che prende in esame gli anni tra il 2004 e il 2008, con uno scarto consistente su Roma (100), Torino (87), Milano (79) e Bari (72). Le province meno colpite dal fenomeno sono Massa Carrara, Oristano, Prato, Sassari e Sondrio (1), ossia le piccole realtà, per lo più del Settentrione. Il ricorso all’usuraio avviene in zone dove i problemi socio-economici sono più accentuati. In più che la poca disponibilità alla denuncia è l’atteggiamento tipico dei cittadini dei piccoli centri ed è proprio da questi luoghi di provincia che si ha la minore probabilità di segnalazioni e denunce alle Forze dell’ordine. Quindi si può ipotizzare che il numero dei casi effettivi di usura potrebbe essere aumentato del 40-60%. Famiglie a rischio strozzinaggio. Secondo recenti stime, in Italia ci sono 1.433.000 famiglie a rischio usura. Il loro sovra indebitamento, nel 2008, è cresciuto del 41,1%, rispetto all’anno precedente, mentre la propensione all’usura nel 2009 salirebbe del 25,7%. Nel 2008 il livello medio del debito delle famiglie italiane ha raggiunto la cifra di 19.630 euro e la più esposta è la provincia di Roma, con oltre 24.250 euro. Nel nuovo anno, al primo posto delle regioni maggiormente esposte, ci sarebbe il Piemonte con 394.000 famiglie, seguito dalla Sicilia (235.000), Emilia Romagna (214.000), Campania (143.000), Lombardia (88.000), Toscana (60.000), Veneto e Lazio (43.000), Puglia (40.000), Calabria (35.000) e Liguria (28.000). Le regioni meno esposte sono, invece, il Molise (1.000 famiglie), le Marche (4.000), Basilicata e Valle d’Aosta (10.000), Sardegna (11.000), Trentino Alto Adige (15.000), Abruzzo (19.000) e Umbria e Friuli Venezia Giulia (20.000). Ma quali sono le vittime maggiormente colpite dal fenomeno? Si tratta soprattutto (48%) di piccole imprese operanti nel commercio, seguite da altre tipologie di imprese (25%), da artigiani (10%), liberi professionisti e lavoratori dipendenti (rispettivamente 7% e 8%) e da una bassa percentuale di disoccupati e pensionati (2%). Il numero dei commercianti vittime di usura è aumentato negli ultimi anni, provati da una crisi che ha fatto registrare fra l’altro la chiusura di 357.000 attività commerciali dal 2000 a oggi. Ma l’esperienza con l’usuraio non resta unica: nel 79% dei casi il ricorso al prestito usuraio si ripete per due o più volte. La cifra media iniziale richiesta è relativamente bassa e varia da 5.000 euro, per il 43% dei casi, a 10.000 per il 34%; ma può oscillare anche da 50.000 a 100.000 euro per il 19% dei casi, con un 4% di casi che supera di molto i 100.000 euro. Elevatissimi i tassi di interesse che oscillano fra il 120% e il 240% annui, con un 15% di casi che arriva fino al 500% annuo e un 10% che li supera.
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[SCHEDA 56]
RICETTAZIONE, RICICLAGGIO E IMPIEGO DI DENARO
L’andamento dei delitti di ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro. Durante il 2008, sono stati denunciati 23.572 casi di ricettazione e 1.123 di riciclaggio e impiego di denaro, rispettivamente il 31,6% e il 5,8% in meno dell’anno precedente, con una media percentuale per numero di abitanti di 39,45 casi di ricettazione e di 1,88 di riciclaggio e impiego di denaro. La provincia italiana che, nel 2008, ha fatto registrare i valori più alti, inerenti il delitto di ricettazione, è Napoli (2.813), seguita da Roma (2.143), Milano (1.643), Torino (753) e Genova (707); mentre quella interessata meno dal fenomeno è Isernia (15) seguita da Biella (20), Belluno (22), Sondrio e Oristano (27). È interessante notare che anche nell’intero periodo 2004-2008, Napoli (18.148) è in testa alla graduatoria delle province più colpite, seguita sempre da Roma (12.173), Milano (10.255), Torino (4.802) e Genova (3.991); allo stesso modo, le province meno interessate dal fenomeno sono: Isernia (108), Oristano (140), Aosta (149), Sondrio (167) e Belluno (189). Napoli, regno del riciclaggio e dell’impiego di denaro illecito. Napoli (113) è anche la provincia più interessata dal delitto di riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, seguita da Milano (105), Roma (77), Bari e Genova (57). Le province che nei mesi del 2008 non hanno fatto registrare alcun caso sono state Viterbo, Verbania, Trento, Siena e Sassari. L’analisi del periodo 2004-2008 indica, infine, che è Roma la città (534) con il fenomeno più alto di riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, seguita da Napoli (492), Milano (407), Genova (343) e Bari (210); al contrario, Prato (1) è la provincia meno interessata, insieme a Verbania e Belluno (3), Pordenone (4), Oristano e Grosseto (5). In calo i reati di minacce. Le forme di minacce hanno subìto una diminuzione sostanziale passando dagli 81.003 casi denunciati del 2007 a 66.357 del 2008, il 22,1% in meno e una media percentuale per numero di abitanti che varia da 136 a 111 casi. La provincia più interessata nel 2008 è Milano (3.925), seguita da Torino (2.905), Roma (2.687), Napoli (2.673) e Bari (1.812). Conferma non solo del numero oscuro delle denunce, ma anche dello spostamento dei mercati delle mafie nelle metropoli sono i pochi casi in piccole province come Isernia e Gorizia (138), seguite da Rieti (147) e La Spezia (173). Altri reati. Napoli (277), Roma (113), Genova (108), Varese (98) e Palermo (42) sono tra le prime cinque città in cui il fenomeno del contrabbando è più presente. Invece, le prime cinque città interessate del delitto di stupefacenti e sostanze psicotrope sono Roma (2.437), Milano (2.283), Napoli (1.660), Torino (1.453) e Genova (850). Le province in cui si verificano meno reati di questo tipo sono Vibo Valentia ed Enna (27), Isernia (32), Nuoro (33) e Lodi (35). Dal 1986 al 2008, questi delitti hanno trovato una diminuzione sostanziale, passando dal picco del 75% registrato alla fine degli anni Novanta a meno del 50% nell’ultimo anno.
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[SCHEDA 57] FURTI, RAPINE ED ESTORSIONI
Furti, borseggi e taccheggi. Nell’ultimo anno il numero complessivo di furti consumati sul territorio nazionale risulta in netta diminuzione: 1.170.860 casi rispetto a 1.635.916 casi del 2007, il 39,72% in meno. Il “borseggio”, che consiste nel furto consumato con l’aggravante della destrezza, rappresenta in media circa il 9% del numero complessivo dei furti consumati. Lo “scippo”, invece, in media l’1% del totale dei furti. Di particolare rilevanza sono il furto di autovetture (il 26% del totale dei furti consumati) e quelli in appartamento, il 10% del numero totale dei furti consumati, che comunque hanno fatto registrare un calo del 10,8% rispetto al 2007. Altro fenomeno da ricordare è il taccheggio, generalmente commesso in magazzini e negozi self service e cash and carry, viene consumato da gruppi, composti spesso da stranieri o appartenenti a minoranze etniche, per esigenze di sostentamento. Benché con il taccheggio non vengano sottratti oggetti di particolare valore, l’elevato numero di episodi arreca alle aziende commerciali significative perdite economiche. Tra le province più colpite da questo fenomeno, Milano (145.695) è quella più interessata nei primi dieci mesi del 2008, seguita da Roma (127.502), Torino (65.710), Napoli (59.152) e Bologna (33.505). Tra il 1992 e i primi dieci mesi del 2008 la città più interessata da furti è Roma (2.903.970, seguita da Milano (2.822.466), Torino (1.398.527), Napoli (1.290.723) e Bologna (681.995). Le province meno interessate da furti, dal 1992 al 2008, sono invece Isernia (8.868), Crotone (22.542), Vibo Valentia (26.260), Rieti (27.118) e Sondrio (28.385). Mani in alto! Questa è una rapina. Nell’ultimo anno il numero delle rapine consumate sul territorio nazionale risulta diminuito: 39.750 casi nei primi dieci mesi del 2008, il 28,8% in meno rispetto al 2007 (51.195). I dati di maggior significato riguardano le rapine commesse in pubblica via (49%). Le rapine consumate in danno di obiettivi sensibili (uffici postali ed istituti di credito) rappresentano circa il 6% del totale. In particolare, le rapine a danno di istituti di credito sono circa il 5% del numero totale delle rapine. Infine, le rapine agli uffici postali, perpetrate nell’ultimo anno, rappresentano circa l’1%. Tra le province più colpite da questo fenomeno, Napoli (9.255; 147.786 dal ’92 al 2008) è quella più interessata nei primi dieci mesi del 2008, seguita da Milano (5.118; 67.168 negli ultimi 16 anni), Roma (3.738 e 61.428 nel periodo considerato) e Torino (2.322 nel 2008 e 39.417 dal 1992 ad oggi). Le rapine, dal 1992 ai primi 10 mesi del 2008, avvengono in misura decisamente inferiore nelle province di Isernia (194), Sondrio (234), Belluno (259), Verbania (305) e Aosta (333). Estorsioni: un fenomeno in costante crescita. Dal 1986 al 2008 si è avuta una crescita costante, con una battuta d’arresto e un calo per quest’ultimo anno. Tra le province più colpite dal fenomeno, Napoli (610) è ancora quella più interessata nei primi dieci mesi del 2008, seguita da Milano (330), Roma (318), Bari (203) e Torino (188). Catania (3.142) compare tra le prime province italiane maggiormente colpite solo considerando il lungo periodo 1992-2008, segno questo dell’alto indice di omertà dovuto alla forte pressione intimidatoria che è presente in quelle zone d’Italia. In questo stesso periodo Napoli contava 6.446 atti estorsivi, Roma 3.559, Milano 3.103 e Bari 2.761.
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[SCHEDA 58] LA CRIMINALITÀ INFORMATICA
L’attività della Polizia Postale e delle Comunicazioni. Nei primi dieci mesi del 2008 sono stati monitorati 2.935 siti, denunciate 3.307 persone di cui 104 sono state arrestate. Dal 2001 sono stati monitorati 23.167 siti: 1.800 nel 2001, 3.735 nel 2002, 3.800 nel 2003, mentre negli ultimi anni i siti monitorati sono stati 2.887 nel 2006 e 2.108 nel 2007. E-commerce: il settore più bersagliato. Nel biennio 2006-2008, è stato l’e-commerce il settore più interessato dai fenomeni di cyber crime: al “Commissariato di P.S. Virtuale”, sono giunte 32.504 richieste d’informazioni, 29.441 segnalazioni e 13.230 denunce nelle diverse materie di competenza della Polizia Postale e delle Comunicazioni. Moltissimi i casi di phishing, tecnica truffaldina che conta sulle informazioni fornite volontariamente ed ingenuamente dagli utenti e dagli operatori di servizi on-line: 7.031 richieste d’informazioni, 19.482 segnalazioni e 1.871 denunce. Lo spamming, l’invio di posta indesiderata verso una moltitudine di utenti della rete Internet, costituisce la fase preparatoria per il vero e proprio attacco: nel periodo considerato, si sono registrate 1.805 richieste d’informazione su siti sospetti. L’home banking, il trading on line, l’e-payment e l’e-shopping sono servizi di largo uso nella società dell’informazione. Lo strumento di pagamento elettronico per eccellenza è la carta di credito. In Italia si sono verificati moltissimi furti di identità: 703 denunce tra clonazioni e disposizioni bancarie eseguite con dati di carte di credito, 1.337 intrusioni informatiche e 2.361 segnalazioni per casi di hackeraggio; l’area baltica è stata ed è il maggior destinatario di questi fondi, mettendo in evidenza una direttrice di movimento dei capitali illecitamente sottratti che da Ovest si sposta verso Est. Truffe via Internet, azioni di hacking, diffusione di codici malevoli, clonazioni di carte di pagamento, diffusione di opere dell’ingegno in violazione del diritto d’autore, spamming e phishing non sono i soli nuovi fenomeni criminali che minacciano la collettività nel suo rapporto con la Rete: la pedopornografia on line, proprio per le caratteristiche intrinseche del mondo via etere (extraterritorialità, anonimato, velocità di trasferimento dati, etc.), trova in questo omologo e potente strumento un canale di utilizzo che, in Italia, negli ultimi due anni, ha portato a 4.629 segnalazioni di siti. Profilo del cyber criminale. Sono per lo più dilettanti coloro che hanno commesso la maggior parte dei crimini conosciuti finora. Alcuni di essi sono esperti del computer o utenti che svolgono il proprio lavoro normalmente, fino a quando scoprono di avere accesso a qualcosa di prezioso. I cracker dei sistemi, spesso studenti universitari o delle scuole superiori, tentano di accedere alle infrastrutture informatiche per il semplice fatto di vedere se sono in grado di farlo. Altri attaccano per curiosità, guadagno o soddisfazione personale. In ogni caso, non esiste un profilo o una motivazione comune per questi aggressori. I criminali informatici professionisti, al contrario dei precedenti, comprendono perfettamente gli obiettivi del crimine informatico; più spesso, iniziano come professionisti dell’informatica che si occupano proprio di crimini informatici, individuando prospettive e guadagni. Chi ci protegge? Un attacco informatico, di matrice criminale o terroristica, diretto a colpire un singolo nodo della rete infrastrutturale, potenzialmente è in grado di azzerare l’intero sistema. Allo scopo di fronteggiare l’emergenza terroristica e di sostenere in termini esecutivi l’obiettivo strategico della protezione delle Infrastrutture critiche nazionali, in Italia è stato costituito, presso il Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni, il Cnaipic (Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche), che si pone quale punto di riferimento, anche a livello internazionale, per quanto attiene la prevenzione e la repressione dei crimini informatici in danno dei sistemi delle aziende, degli enti e delle Pubbliche amministrazioni che erogano o gestiscono servizi essenziali nell’ottica della sicurezza e della prosperità del Paese.
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[SCHEDA 59] CONTRAFFAZIONE DI MARCHI E VIOLAZIONE ALLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE
La situazione italiana. Il nostro è uno dei paesi più colpiti in Europa, dopo la Francia, dal reato di contraffazione: nei primi dieci mesi del 2008 si sono verificati 1.457 casi, numero comunque diminuito del 26,5% rispetto all’anno precedente in cui si sono avuti 1.842 casi. La città più interessata è Roma (457), seguita da Napoli (158), Milano (60), Bari (52) e Firenze (50). Al contrario, i piccoli centri come, per esempio, Asti (3), Aosta (7), Belluno (16), Campobasso (17) e Arezzo (27) sono meno interessati da questo tipo di reati e dagli interventi delle Forse dell’ordine. La contraffazione nel mondo. La crescita del fenomeno della contraffazione nel periodo 1991/2008 è stata pari al 2.800%. Secondo la World Trade Organization la contraffazione pesa per circa 1/12 del commercio mondiale, la Commissione Europea è invece orientata a valutare un ammontare di contraffazione pari al 9% per un valore tra i 400 e i 500 miliardi di euro. A livello sociale i danni che le imprese subiscono a causa della contraffazione si riflettono sul numero dei posti di lavoro: si stima una perdita globale di circa 300.000 posti di lavoro all’anno. La ripercussione sulle economie nazionali comporta quindi perdite fiscali ingenti (dazi doganali, Iva). Per quanto concerne l’Imposta sul Valore Aggiunto si calcola, nel solo settore fonografico, un mancato introito per le casse degli Stati dell’Unione europea di 200 milioni di euro. L’attività di contrasto della Guardia di Finanza: il nucleo speciale tutela marchi. Sono 21.045 i casi trattati nella prima metà del 2008, registrando un incremento del 10,92% rispetto all’anno precedente. Anche i casi in cui è coinvolto un marchio straniero sono aumentati sensibilmente rispetto al 2007: nello stesso periodo di tempo, sono stati trattati 4.415 casi in cui era coinvolta una griffe straniera. La collocazione geografica dei casi trattati indica che lo Zhejiang (3.309) è la provincia cinese in cui si trova il più alto numero di fabbriche clandestine, seguita dal Guandong (1.893), Fujian (1.647), Henan (1.500), Shandong (1.411), Hebei (1.116) e Shanghai (1.111). Tra le città maggiormente coinvolte nell’investigazione e trattazione del fenomeno ci sono: Zhejiang (1.250), seguita da Guangdong (1.166), Shangai (784), Fujian (504) e Beijing (229) per un totale di 3.933 casi trattati che costituiscono l’89,08% del totale dei casi che coinvolgono un marchio straniero in Cina. GdF in azione. Nei primi dieci mesi del 2008 le dogane comunitarie hanno sequestrato più di 100 milioni di articoli contraffatti nel corso di oltre 58.000 operazioni, il 24% in più rispetto all’anno precedente. L’incremento è stato del 264% per cosmetici e prodotti per l’igiene personale, del 98% per i giocattoli, del 62% per alimenti e computer e del 51% per i farmaci. Queste tipologie di articoli, da sole, rappresentavano il 23% dei prodotti requisiti. Nel 2007, 59.174.154 sono state le merci sequestrate negli spazi doganali, 18.233 gli interventi, 17.942 le persone segnale e 499 quelle arrestate. I prodotti sequestrati per contraffazione ammontavano a 44.584.425, ma a questo dato va aggiunto quello relativo ai tabacchi lavorati esteri contraffatti che totalizzava i 49.241.300; il totale delle merci sequestrate si calcolava in 105.009.508. Tra i sequestri e gli interventi repressivi della Guardia di Finanza si ricordano l’operazione “Capitone pulito”, che ha portato ad uno dei più grandi sequestri nell’ambito dei prodotti alimentari: 160 tonnellate di pesce sono state bloccate nell’arco di oltre 6.500 controlli svolti tra la grande distribuzione, mercati rionali e negozi di 14 regioni italiane che affacciano sul mare. Le frodi riguardavano pesce proveniente da mari asiatici e spacciato per nostrano, pesce decongelato e rivenduto per fresco, molluschi allevati in zone proibite, oppure prodotti di cui è vietata la pesca, eppure posti in commercio.
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[SCHEDA 60] INCENDI E ORDINE PUBBLICO
Nel 2007, l’Italia ha raggiunto il valore massimo di eventi incendiari (16.715). Nel 2008, invece, ha ripreso un andamento costante con valori simili a quelli registrati alla fine degli anni Ottanta (7.694), ma con una variabilità percentuale nettamente maggiore (-117,25%). Un alto valore percentuale si ritrova nel biennio 1987-1988, quando si è registrato un -6,89%. Milano: la città con più reati incendiari. La provincia italiana maggiormente interessata dal fenomeno, nel periodo di tempo considerato (1986-2008), è Milano (6.974), seguita da Reggio Calabria (6.936), Bari (6.612), Cosenza (6.355) e Napoli (6.295); di contro, la provincia meno colpita è Aosta (127), seguita da Lodi (161), Gorizia (310), Verbania (344) e Cremona (356). Le province più colpite dagli incendi dolosi. Bari (510) e Milano (447) hanno registrato il maggior numero di incendi. Seguono Napoli (413), Palermo (365) e Roma (330). Le province meno colpite, invece, dal fenomeno sono Massa Carrara (3) e Prato (5), seguite da Aosta (8), Gorizia e Matera (10). Gli attentati dinamitardi. Nel biennio 2003-2004, le variazioni assoluta e percentuale sono le più basse della storia d’Italia: rispettivamente -1.000 e -223,21%. Dalla seconda metà del 2006, invece, si riscontrano alcuni dei valori migliori degli ultimi cinque anni, con una variazione assoluta di -103 punti e una variazione percentuale di 23,68% per il biennio 2007-2008. Nei primi mesi del 2008 si segnalano 435 casi di attentati dinamitardi, che vedono, tra le città più colpite, Milano (37), Napoli e Torino (32), seguite da Bari (30) e Roma (27). Le città meno interessate da questo fenomeno criminoso sono Prato (6) e Piacenza (7), seguite da La Spezia (8), Aosta e Cremona (9). I danneggiamenti da incendi. Nel biennio 2007-2008, si è registrata una delle variazioni assoluta e percentuale più basse della storia: rispettivamente di -2.918 e di -33% rispetto al 2006-2007. Dei 8.842 casi di danneggiamento, Reggio Calabria (405) è la provincia che nel 2008 si colloca in prima posizione, seguita da Foggia (402), Messina (368), Roma (365) e Palermo (348). Tra le province meno interessate, sono da citare Campobasso, che non presenta alcun attentato dinamitardo, seguita da Isernia (3), Belluno e Rieti (5), Biella (7).