Oggetto: Richiesta di inserimento nel pacchetto “Riforma Organica dell’Ordinamento Giudiziario” di due proposte: 1) Riforma della legge 117/88 sulla Responsabilità Civile dei Magistrati 2) Riforma artt. 279 e 291 del Codice di Procedura Penale sulle Misure Cautelari
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Gentili Signori, il costituendo comitato “Cittadini per la Giustizia” nel rilevare l’assenza dal pacchetto di riforme in oggetto di due importanti modifiche che risultano indispensabili, in quanto fortemente sentite dai cittadini,a corredo della più generale riforma della Giustizia, si è fatto carico di formulare le due proposte in oggetto affinché, mediante la presente istanza, possano essere oggetto di inserimento nel DDL inerente alla materia.
Lo scopo delle modifiche alla legge Vassalli è quello di consentire la soddisfazione relativa ad una esigenza già ampiamente registrata dalla Sovranità Popolare nel referendum dell’8 Novembre 1987 in cui oltre l’80% degli aventi diritto manifestò la volontà di correggere uno squilibrio esistente in ordine all’argomento sensibile del risarcimento del danno provocato dall’errore giudiziario.
Il fine delle modifiche agli artt. 279 e 291 del cpp è quello di vedere finalmente realizzata una pariteticità effettiva e non virtuale tra accusa e difesa nel processo penale in tema di provvedimenti inerenti la libertà personale dei cittadini Italiani.
In dotazione delle modifiche elaborate di cui alle disposizioni sopra indicate e con il proposito di motivare opportunamente le ragioni che sono alla base di esse, sono stati elaborati i lineamenti che ne definiscono i profili.
Nel convincimento circa la genuinità che sovrintende gli intenti di codesto comitato che sono indirizzati al miglioramento della applicazione delle norme di diritto, conformemente allo spirito dei principi fondamentali della Costituzione Italiana, si auspica il raggiungimento degli obbiettivi con il contributo del maggior numero di sottoscrizioni possibili.
Tanto dovevasi
IL COMITATO NAZIONALE “Cittadini per la Giustizia”
PROPOSTA DI RIFORMA DELLA LEGGE 117/88 SULLA RESPONSABILITA’ DEI GIUDICI
Uno dei problemi che angustia maggiormente il cittadino che entra in contatto con l’apparato giudiziario in Italia è il riconoscimento del giusto risarcimento del danno provocato dal magistrato che commette un errore nell'esercizio delle sue funzioni. Il problema non è di scarso rilievo poiché accade frequentemente, nei casi più gravi, che il cittadino sia sottoposto alla privazione della libertà personale e successivamente venga riconosciuto estraneo ai fatti contestati.
Altresì l’errore giudiziario, laddove non venisse accertato prima della sentenza passata in giudicato, viene corretto dal procedimento di revisione previsto dal nostro ordinamento. In questi casi, l’errore, commesso dal giudicante, ad oggi è disciplinato dalla legge 117/88 conosciuta come legge Vassalli (dal nome del suo autore).
Per sviluppare correttamente gli approfondimenti sulle anomalie del nostro ordinamento al riguardo, anomalie che producono danni devastanti nei confronti dell’inerme cittadino da parte dell’amministrazione della giustizia, è necessario esaminare la legislazione in vigore, sia dal punto di vista storico che da quello normativo.
La legge Vassalli entra in vigore nel 1988 a seguito della consultazione referendaria tenutasi in Italia nel novembre 1987 in cui le forze politiche proponenti riuscirono ad ottenere un risultato mai più raggiunto: oltre l’80% dei votanti rispose affermativamente alla domanda di abrogazione delle norme in vigore in quel tempo per stabilire una responsabilità civile dei giudici. A quella conclamata vittoria dei si, il Parlamento rispose con una legge, la n° 177/88 appunto, che decisamente si allontanava dalla decisione presa dagli Italiani nel referendum. La legge Vassalli eludendo intenzionalmente la volontà espressa dalla Sovranità Popolare, fece ricadere gli errori commessi dal magistrato sullo Stato e non sui giudici chiamando addirittura a risarcimento lo strato meno abbiente della cittadinanza Italiana. Vediamo come. In questa analisi si deve partire dal principio fondamentale enunciato dall’articolo 3 della nostra Costituzione: l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge nel senso che tutti i cittadini rispondono alle leggi in ugual maniera e senza distinzioni di sorta. In Italia questo enunciato non è più vero. I cittadini in generale, e quelli che appartengono a tutte le categorie professionali in particolare, rispondono personalmente sotto il profilo penale e sotto il profilo civile con il loro patrimonio degli errori che vengono commessi, nell’esercizio delle loro prestazioni d’opera, a danno di altri cittadini. Ad es. il medico risponde di lesioni colpose se sbaglia la diagnosi ed il paziente rimane invalido, il chirurgo ugualmente se sbaglia l’intervento chirurgico e dall’errore il paziente subisce menomazioni. Altresì il chirurgo risponde di omicidio colposo se, durante o dopo l’intervento si riconduce al suo errore la causa della morte. In questo caso è emblematica e di oggettivo interesse la sentenza n. 20790 depositata il 28 settembre 2009 dalla terza sezione civile della Corte di Cassazione che richiama i medici ad "adottare tutte le precauzioni per impedire prevedibili complicazioni e di adoperare tutta la scrupolosa attenzione che la particolarità del caso richiede, secondo la prudenza e la diligenza esigibili dalla specializzazione posseduta". Per l'inosservanza di tali obblighi il medico "risponde anche per colpa lieve" come già sancito peraltro nella sentenza n. 9085/2006. Non si hanno dubbi che tali prescrizioni si estendano a tutte le categorie professionali.
Ancora: l’ingegnere che sbagliando i calcoli provoca il crollo del palazzo o del ponte risponde in toto, dal danno al manufatto sino al danno alla persona, laddove si dimostri che il danno è stato da egli stesso cagionato a qualsiasi titolo. In sostanza i professionisti, ma più genericamente tutti i cittadini, rispondono personalmente dei danni cagionati a terzi. Un principio questo ampiamente accettato e condiviso in tutti gli ordinamenti degli Stati moderni.
Il giudice, figura professionale come le altre, cittadino come gli altri, reclutato nell’amministrazione giudiziaria mediante concorso pubblico (non avendo natura elettiva in Italia), viene invece tenuto al riparo dalle conseguenze dell’errore a lui stesso riconducibile. Se emette un provvedimento restrittivo della libertà o, comunque, un provvedimento iniquo in tutte le sue accezioni che danneggia un cittadino che risulti estraneo ai fatti contestati, il giudice non viene chiamato in giudizio a rispondere del suo operato.
Viene dispensato ex lege dall’obbligo di responsabilità personale in aperto contrasto col principio enunciato dall’art. 3 della Costituzione, sia sotto il profilo penale e sia sotto il profilo civile ( risarcimento del danno ). Quindi se il giudice pronuncia una sentenza errata egli gode della immunità/impunità che lo esonera dall’obbligo di rispondere penalmente e civilmente dell’errore commesso e dal danno cagionato nell'esercizio delle sue funzioni.
Secondo l’articolato Vassalli (legge n. 117/88), il giudice risponde dell’errore giudiziario, limitatamente ai casi di privazione della libertà personale, solo in caso di dolo o colpa grave, limitando il già ristrettissimo ambito cui il danneggiato può chiedere soddisfazione del danno patito.
L’art. 2 della legge infatti elenca i casi che costituiscono colpa grave. Essi sono: a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; b) l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;
c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento: d) l’emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione. Al riguardo è sintomatica una delle più recenti massime della Suprema Corte, allorché limita le ipotesi di responsabilità ai soli casi di “evidente, grossolana e macroscopica violazione della norma stessa, ovvero una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o l'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo o ancora lo sconfinamento dell'interpretazione nel diritto libero” (Cass. Civ. n. 7272/2008). Limitando quindi ulteriormente, si ribadisce, il diritto al risarcimento del cittadino.
Certamente i principi dettati dalla norma, in uno con l’interpretazione datane dalla suprema corte, intendono salvaguardare il principio costituzionale della libertà e della indipendenza della funzione giurisdizionale; tuttavia la rarissima applicazione della legge, anche in considerazione della presenza di una fase di delibazione di ammissibilità, deve far riflettere su quella che si può chiaramente definire come inaccessibilità di fatto alla tutela risarcitoria.
Ciò pure in presenza di numerosi e spesso eclatanti errori giudiziari che hanno portato il Popolo Italiano a una progressiva ed ormai eclatante perdita di fiducia nei confronti dell'amministrazione giudiziaria.
Si aggiunga a quanto sopra che la Corte di Giustizia Europea, sempre molto attenta a quanto accade nel nostro Paese nei confronti del quale non lesina sanzioni in materia di giustizia, afferma una difformità sostanziale con il Trattato CEE, in una norma nazionale che: esclude la responsabilità in relazione alla attività di interpretazione delle norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove rese nell’ambito della attività giudiziaria;
limita la responsabilità dello Stato ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice. Siamo di fronte quindi ad un doppio contrasto: 1 – quello nei confronti dell’art. 3 della costituzione Italiana – eguaglianza dei cittadini 2 – quello nei confronti del diritto comunitario.
La proposta che sottoponiamo alla attenzione del Parlamento Italiano, elimina questi vizi modificando la legge Vassalli in maniera tale che si mantenga la responsabilità del giudice in fatto di dolo e si introduca la responsabilità personale per colpa. L’elemento soggettivo dunque non sarà più caratterizzato dal possesso della qualifica di gravità ma sarà colpa sic et simpliciter. L’errore giudiziario sarà imputato al giudice per negligenza, imperizia, imprudenza oltre, naturalmente, al dolo.
Va da sè che, essendo il giudice, ai sensi della presente proposta, responsabile personalmente in quanto non più coperto dall’intervento dello Stato, l’articolo 18 della legge Vassalli debba essere definitivamente abrogato. L’articolo 18 recita infatti:
Misure finanziarie Agli oneri conseguenti all’attuazione dell’articolo 15 della presente legge, valutati in lire 2.000 milioni in ragione d’anno a decorrere dall’esercizio 1988 , si fa fronte mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1988-1990, al capitolo 6856 dello stato di previsione del ministero del tesoro per l’anno 1988, utilizzando parzialmente l’accantonamento previsto alla voce “revisione della normativa in materia di patrocinio gratuito”. Oltretutto tale norma discrimina la categoria dei cittadini meno abbienti e li colpisce in quanto li rende diretti responsabili pecuniari di un danno provocato da terzi. Un fatto questo che non risulta abbia eguali per gravità a livello planetario. Secondo questa norma infatti, lo Stato, per riparare l’errore del giudice, attinge alle risorse del gratuito patrocinio che sono istituite per consentire la difesa dei cittadini più deboli laddove siano chiamati dall' amministrazione giudiziaria a difendersi. Con l'abrogazione dell'Art. 18 citato avremo quindi che non sarà più lo Stato a rispondere dell’errore del giudice ma il giudice stesso mediante obbligatoria stipula di contratto di assicurazione privata presso riconosciuto ed affidabile Istituto. Risulta da questa breve analisi che lo scopo precipuo di riformare la legge Vassalli sia quello di ricostituire il tessuto connettivo del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. lacerato da una immunità di fatto, tradottasi in diritto con l’approvazione della legge 117/88. Lo scopo è quello appunto di registrare finalmente un equilibrio tra la Sovranità Popolare manifestata dal risultato del referendum del novembre 1987 ed una normativa che lo realizzi in modo esaustivo e completo a tutela del diritto di TUTTI i cittadini Italiani che a tutt'oggi, al contrario, devono subire l'onta, il disonore e il danno di una legge acclaratamente iniqua e che perdipiù garantisce l'mpunità da colpa di chi è chiamato a giudicare.
TESTO DELLE MODIFICHE
Art. 2. – viene sostituito in questi termini Responsabilità per dolo o colpa 1.Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia agisce in via esclusiva contro il magistrato responsabile per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale. 2.Nell’esercizio delle funzioni giudiziarie darà luogo a responsabilità anche l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove.
Art. 3 Diniego di giustizia – viene sostituito nei seguenti termini 1.Costituisce diniego di giustizia il rifiuto, l’omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell’atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, dieci giorni dalla data di deposito in cancelleria. Se il termine non é previsto, debbono in ogni caso decorrere inutilmente dieci giorni dalla data del deposito in cancelleria dell’istanza volta ad ottenere il provvedimento. 2.Il termine di dieci giorni non può essere prorogato e va considerato termine perentorio. Per la redazione di sentenze di particolare complessità, il dirigente dell’ufficio, con decreto motivato adottato prima della scadenza, può aumentare fino ad altri sessanta giorni il termine di cui sopra. 3.Quando l’omissione o il ritardo senza giustificato motivo concernono la libertà personale dell’imputato, il termine di cui al comma primo é ridotto ad un giorno, improrogabile, a decorrere dal deposito dell’istanza. Art. 4 (nota) – viene sostituito nei seguenti termini Competenza e termini 1.L’azione di risarcimento del danno contro il magistrato deve essere esercitata dal danneggiato, dai sui familiari e da ogni altro avente diritto. Competente é il tribunale del luogo ove ha sede la corte d’appello del distretto di residenza del danneggiato o dell’avente diritto. 2.L’azione di risarcimento del danno contro il magistrato può essere esercitata osservando l’iter ordinario secondo le disposizioni di legge vigenti in materia di risarcimento del danno patrimoniale e non. L’azione può essere esercitata decorsi tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno se in tal termine non si é concluso il grado del procedimento nell’ambito del quale il fatto stesso si é verificato. 3.Nei casi previsti dall’articolo 3 l’azione deve essere promossa entro due anni dalla scadenza del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull’istanza. 4.In nessun caso il termine decorre nei confronti della parte che, a causa del segreto istruttorio, non abbia avuto conoscenza del fatto.
Art. 5. (nota) Ammissibilità della domanda – viene sostituito nei seguenti termini 1.Il tribunale, sentite le parti, delibera in camera di consiglio sull’ammissibilità della domanda di cui all’articolo 2. 2.A tale fine il giudice istruttore, alla prima udienza, rimette le parti dinanzi al collegio che é tenuto a provvedere entro tre giorni dal provvedimento di rimessione del giudice istruttore.
3.La domanda é inammissibile quando risulta manifestamente infondata. 4.L’inammissibilità é dichiarata con decreto motivato, impugnabile con i modi e le forme di cui all’articolo 739 del codice di procedura civile , innanzi alla corte d’appello che pronuncia anch’essa in camera di consiglio con decreto motivato entro quindici giorni dalla proposizione del reclamo. Contro il decreto di inammissibilità della corte d’appello può essere proposto ricorso per cassazione, che deve essere notificato all’altra parte entro trenta giorni dalla notificazione del decreto da effettuarsi senza indugio a cura della cancelleria e comunque non oltre dieci giorni. Il ricorso é depositato nella cancelleria della stessa corte d’appello nei successivi dieci giorni e l’altra parte deve costituirsi nei dieci giorni successivi depositando memoria e fascicolo presso la cancelleria. La corte, dopo la costituzione delle parti o dopo la scadenza dei termini per il deposito, trasmette gli atti senza indugio e comunque non oltre dieci giorni alla corte di cassazione che decide entro sessanta giorni dal ricevimento degli atti stessi. La corte di cassazione, ove annulli il provvedimento di inammissibilità della corte d’appello, dichiara ammissibile la domanda. Scaduto il quarantesimo giorno la parte può presentare, rispettivamente al tribunale o alla corte d’appello o, scaduto il sessantesimo giorno, alla corte di cassazione, secondo le rispettive competenze, l’istanza di cui all’articolo 3. 5.Il tribunale che dichiara ammissibile la domanda dispone la prosecuzione del processo. La corte d’appello o la corte di cassazione che in sede, di impugnazione dichiarano ammissibile la domanda rimettono per la prosecuzione del processo gli atti ad altra sezione del tribunale e, ove questa non sia costituita, al tribunale che decide in composizione intieramente diversa. Nell’eventuale giudizio di appello non possono far parte della corte i magistrati che abbiano fatto parte del collegio che ha pronunziato l’inammissibilità. Se la domanda é dichiarata ammissibile, il tribunale ordina la trasmissione di copia degli atti ai titolari dell’azione disciplinare; per gli estranei che partecipano all’esercizio di funzioni giudiziarie la copia degli atti é trasmessa agli organi ai quali compete l’eventuale sospensione o revoca della loro nomina. Art. 6. (nota) – viene sostituito nei seguenti termini Intervento del magistrato nel giudizio 1.Il magistrato il cui comportamento, atto o provvedimento rileva in giudizio dovrà essere chiamato in causa e potrà intervenire in ogni fase e grado del procedimento direttamente o mediante l’assistenza di un legale ritualmente nominato. Al fine di consentire l’eventuale intervento del magistrato, il presidente del tribunale deve dargli comunicazione del procedimento almeno quindici giorni prima della data fissata per la prima udienza. 2.La decisione pronunciata nel giudizio promosso contro il magistrato fa stato nel procedimento disciplinare. Art. 7. Azione di rivalsa – Abrogato Art. 8. Competenza per l’azione di rivalsa e misura della rivalsa – Abrogato Art. 9. (nota) Azione disciplinare – viene sostituito nei seguenti termini 1.Il procuratore generale presso la corte di cassazione per i magistrati ordinari o il titolare dell’azione disciplinare negli altri casi devono esercitare l’azione disciplinare nei confronti del magistrato per i fatti che hanno dato causa all’azione di risarcimento, salvo che non sia stata già proposta, entro due mesi dalla comunicazione di cui al comma quinto dell’articolo 5 . Resta ferma la facoltà del ministro di grazia e giustizia di cui al secondo comma dell’articolo 107 della Costituzione . 2.abrogato 3.abrogato
Art. 18. – viene sostituito nei seguenti termini Obbligo assicurativo Entro cinque giorni dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale è fatto obbligo ai magistrati della Repubblica Italiana di provvedere alla idonea copertura assicurativa contro gli errori giudiziari che danno luogo alle richieste di risarcimento del danno patrimoniale e non.
PROPOSTA DI RIFORMA DELLE NORME AL TITOLO
IV DEL C.P.P.
(MISURE CAUTELARI)
Uno dei temi in discussione a proposito della riforma dell’ordinamento giudiziario è il raggiungi_ mento di un reale equilibrio di rapporti con l’organo giudicante tra il rappresentante dell’accusa e la difesa dell’imputato. Un tema molto dibattuto già da un paio di decenni.
Nel 1989 con l’introduzione della “riforma” del cpp (le virgolette esprimono il carattere eufemistico del termine riforma in quanto inadeguato perché quella che fu definita come riforma è stata una pura e semplice operazione di maquillage) la pretesa fu quella di effettuare un solenne passaggio dal sistema cd. inquisitorio al sistema cd. accusatorio. Una falsa rappresentazione della realtà che aveva lo scopo mirato di indurre credere che si era verificata una svolta radicale nel nostro ordinamento giurisdizionale.
In sintesi il sistema accusatorio, rispetto a quello inquisitorio in vigore sino ad allora, configura in
linea generale un manifesto detrimento poteri in capo al PM a vantaggio del principio della pariteticità che accusa e difesa debbono possedere nel processo penale. Molti provvedimenti che prima erano presi dal PM in via esclusiva, ora sono soggetti al vaglio dell’organo giudicante. Quest’ultimo però, come sappiamo per esperienza, è sempre “influenzato” dal PM, motivo per il quale il presunto principio di pariteticità tra accusa e difesa viene puntualmente vanificato.
Il vincolo sodale di appartenenza allo stesso corpus, è stato soltanto il presupposto di gravi conflitti istituzionali e di palesi ingiustizie nei confronti dei cittadini della Repubblica. Annosi torti mai riparati che hanno prodotto pericolosi guasti nel pianeta giustizia. Possiamo a ragione quindi sostenere che attualmente vige un sistema misto, inquisitorio/accusatorio, sbilanciato di fatto in favore del primo. Una pariteticità solo virtuale.
Attualmente la misura cautelare per eccellenza è la custodia in carcere. Questo strumento disciplinato dal Codice di Procedura Penale agli artt. 274, 275 e seguenti costituisce l'estrema ratio delle misure che limitano la libertà personale del cittadino. Senza entrare nel dettaglio delle ipotesi per cui questo provvedimento può essere adottato, va precisato che esso fa seguito ad una richiesta formulata dal PM al GIP e che quest'ultimo può accogliere o respingere secondo criteri valutabili sotto il profilo della insindacabilità. In questa fase particolarmente delicata il difensore non è presente. La decisione quindi viene assunta in assenza del difensore. Possiamo notare come, in effetti, questa decisione che limita la libertà personale sia sbilanciata in favore del PM. Ci si domanda allora come risolvere questo problema conformemente al principio di parità tra accusa e difesa. Dopo alcune opportune riflessioni maturate sulla scorta della esperienza processuale si perviene ad una soluzione avente le seguenti caratteristiche: Il PM e le forze dell'ordine in servizio di polizia giudiziaria, possono, su iniziativa dello stesso Pubblico Ministero, fermare presso il proprio domicilio il presunto reo (imputato/indagato) piantonandolo o utilizzando strumenti di sorveglianza alternativi quali, ad esempio, il bracciale elettronico. Il pm entro un periodo brevissimo di tempo (per es. due o tre giorni) provvede ad informare il giudice ed il difensore convocando una udienza per decidere sulla sua richiesta di custodia cautelare in carcere per l'imputato. Nell'udienza, PM e difesa dibattono davanti al giudice le proprie tesi e questi decide accogliendo con ordinanza la richiesta del pm o respingendola. Nel primo caso l'inquisito verrebbe consegnato dagli agenti che lo piantonano alla custodia in carcere, nel secondo caso l'inquisito rimarrebbe in stato di libertà.
In questo modo si garantiscono due esigenze: -quella di evitare tentativi di fuga o/e di inquinamento delle prove da parte dell’inquisito -quello di soddisfare il principio di parità tra accusa e difesa in una fase che sino ad ora è stata sbilanciata unicamente in favore del pm. Viene sanata in questo modo la reale disparità avvertita ora dalla applicazione delle norme del codice di procedura penale in questo momento in vigore e si garantirebbe certamente un giusto processo in cui le parti, da subito, essendo presenti in egual misura osserverebbero il principio di pariteticità processuale. Sulla competenza a giudicare in fatto di libertà personale, propendiamo per un perfezionamento delle garanzie processuali in favore dell’imputato/indagato. L’importanza della materia richiede che la decisione non sia affidata ad un giudice monocratico. Un organo collegiale risulta certamente più adeguato. Al fine di rendere operativa l’innovazione processuale anzidetta, abbiamo condensato in poche norme le modifiche che debbono essere apportate al codice di procedura penale agli articoli del libro quarto che disciplinano l’uso della custodia cautelare.
TESTO DELLE MODIFICHE
1. L’articolo 279 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente: «Art. 279. - (Incidente sulla libertà personale). 1. I provvedimenti sulla libertà personale sono assunti con ordinanza in camera di consiglio, in contraddittorio fra le parti e previo interrogatorio dell’indagato o imputato. 2. Sulla applicazione e sulla revoca delle misure nonchè sulla modifica delle loro modalità, provvede il giudice che procede. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il collegio dei giudici per le indagini preliminari ex art. 328 -1 quater ult. co. Le ordinanze in materia di libertà personale sono eseguite immediatamente». Art. 2. 1. All’articolo 291 del codice di procedura penale, dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1-bis. La richiesta del pubblico ministero e gli allegati sono immediatamente depositati in cancelleria. Contestualmente al deposito,il giudice fissa l’udienza per la discussione dell’incidente sulla libertà dandone avviso alle parti. La data dell’udienza non può essere fissata oltre il quarto giorno dalla presentazione della richiesta del pubblico ministero. Se il pubblico ministero deposita ulteriori elementi a sostegno della richiesta,il giudice, su istanza del difensore e sentito il pubblico ministero, può concedere un termine a difesa non superiore a quarantotto ore». Art. 3. 1. Dopo l’articolo 291 del codice di procedura penale è inserito il seguente: «Art. 291-bis. - (Arresto provvisorio) – 1. Il pubblico ministero, ove sussistano concreti pericoli di fuga, può, contestualmente al deposito della richiesta di cui all’articolo 291, ordinare con provvedimento motivato il piantonamento a domicilio od altra misura idonea ad impedire la fuga ivi compresi strumenti di sorveglianza elettronica. Il provvedimento del pubblico ministero non può avere efficacia oltre il quarto giorno dal deposito della richiesta ed è soggetto alla convalida del giudice nella stessa udienza fissata per la discussione dell’incidente sulla libertà personale. 2. Ove venga disposto l’arresto, l’indagato od imputato è tenuto in custodia in camera di sicurezza o altro luogo idoneo, con esclusione degli stabilimenti carcerari, e presentato direttamente alla udienza. Durante il periodo di arresto il difensore ha il diritto di conferire liberamente con l’indagato imputato» L’art. 328 cpp viene intergrato nel seguente modo: Giudice per le indagini preliminari.
1. Nei casi previsti dalla legge, sulle richieste del pubblico ministero, delle parti private e della persona offesa dal reato, provvede il giudice per le indagini preliminari. 1-bis. Quando si tratta di procedimenti per i delitti indicati nell'articolo 51 commi 3-bis e 3-quater le funzioni di giudice per le indagini preliminari sono esercitate, salve specifiche disposizioni di legge, da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.
1-ter. Quando si tratta di procedimenti per i delitti indicati nell'articolo 51, comma 3-quater, le funzioni di giudice per le indagini preliminari sono esercitate, salve specifiche disposizioni di legge, da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. 1-quater. Quando si tratta di procedimenti per i delitti indicati nell’articolo 51, comma 3-quinquies, le funzioni di giudice per le indagini preliminari e le funzioni di giudice per l’udienza preliminare sono esercitate, salve specifiche disposizioni di legge, da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. Nelle ipotesi previste agli artt. 279, 291 e 291 bis cpp le funzioni di giudice per le indagini preliminari sono esercitate da tre Giudici per le indagini preliminari costituiti in collegio.