Sentenza 29 novembre 2002, n. 16936
Cassazione italiana . sezione prima civile - sentenza 29 novembre 2002, n. 16936. Sergi C. Min. giustizia. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001. Norme di procedura e limiti alla sindacabilità delle valutazioni del giudice di merito.
Ai sensi della l. 24 marzo 2001 n. 89, ai fini dell'equa riparazione rileva il solo danno correlato al periodo eccedente la durata ragionevole del processo. (Nell'enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato il decreto impugnato, che aveva sottratto dalla durata totale del processo i periodi riconducibili a rinvii richiesti dalla parte).
Nel procedimento che si svolge dinanzi alla corte d'appello sulla domanda di equa riparazione, il deposito di memorie, ammesso dall'art. 3 l. 24 marzo 2001 n. 89 fino a cinque giorni prima della data in cui è fissata la camera di consiglio, non è subordinato ad alcuna autorizzazione da parte del giudice.
Ai fini del danno patrimoniale subito per effetto del mancato rispetto del termine ragionevole del processo, che ai sensi della l. 24 marzo 2001 n. 89 dà diritto ad un'equa riparazione, non rileva il danno, da illecito extracontrattuale o da inadempimento, allegato con la domanda proposta nel giudizio durato irragionevolmente
Ai fini del diritto all'equa riparazione per la violazione del termine ragionevole del processo ai sensi della l. 24 marzo 2001 n. 89, l'accertamento della non particolare complessità del caso e del comportamento della parte, tale da non avere esso cagionato l'indebito protrarsi del giudizio, è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione ex art. 360, numero 5, c.p.c..
L'art. 3, comma 6, l. 24 marzo 2001 n. 89, nel disporre che il decreto della Corte d'appello che pronuncia sulla domanda di equa riparazione è "impugnabile per cassazione", senza alcuna altra precisazione, deve intendersi come rinvio alle regole ordinarie del ricorso alla corte di cassazione disciplinato dall'art. 360 c.p.c. Ne consegue che detto ricorso è proponibile per tutti i motivi indicati in tale disposizione del codice di rito, non soltanto per violazione di legge.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Antonio SAGGIO - Presidente -
Dott. Alessandro CRISCUOLO - Consigliere -
Dott. Mario Rosario MORELLI - Consigliere -
Dott. Giuseppe MARZIALE - Consigliere -
Dott. Giuseppe Maria BERRUTI - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SERGI ANTONINA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA EMILIO DEI CAVALIERI 11, presso l'avvocato ALDO FONTANELLI, rappresentato e difeso dall'avvocato MICHELE MICCOLI, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta ope legis;
- resistente -
avverso il decreto della Corte d'Appello di CATANZARO, depositato il 31/10/01;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/06/2002 dal Consigliere Dott. Giuseppe Maria BERRUTI;
udito per il resistente l'Avvocato dello Stato PALATIELLO che ha chiesto l'inammissibilità del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Guido RAIMONDI che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Svolgimento del processo
Antonina Sergi chiedeva la condanna del Ministro della Giustizia alla equa riparazione dei danni da essa subiti per effetto del superamento dei termini di ragionevole durata del giudizio da essa promosso nei confronti di Francesco Barresi innanzi al tribunale di Reggio Calabria, e proseguito nella corte d'appello territoriale, avente ad oggetto una pretesa risarcitoria conseguente ad infiltrazioni di acqua in un locale condotto in locazione. Resisteva il Ministro della Giustizia.
La Corte di Catanzaro accoglieva la domanda. Riteneva anzitutto che la causa non aveva presentato problemi particolarmente complessi.
Riteneva anche che la attrice Sergi aveva contribuito alla sua durata chiedendo numerosi rinvii privi di ragione processuale e mancando di partecipare a talune udienze. La parte stessa peraltro, secondo la decisione impugnata, non aveva mai rappresentato alcuna istanza per rendere più spedita la trattazione della causa.
La Corte di merito riteneva comunque che l'autorità giudiziaria procedente aveva concorso alla durata in questione accordando i richiesti rinvii. Quanto invece agli intervalli temporali tra gli stessi la corte riteneva anche stante la natura ordinatoria delle norme di cui agli artt. 82 e 115 comma 2 disp. att. cpc. e la più forte inerenza del principio dispositivo delle parti nel rito applicato, nonchè la situazione di grave difficoltà della struttura del processo civile, essi non potessero costituire ragione di ulteriore imputazione della durata in questione all'organo giudiziario.
Passando quindi alla quantificazione del danno da riparare la corte rilevava che dai diciotto anni circa di durata del giudizio dovevano essere anzitutto sottratti i sette/otto anni rappresentanti il termine di ragionevole durata.
Quindi ancora che dovessero essere sottratti gli anni di ritardo dovuti ai rinvii chiesti dalla parte istante. Pertanto riteneva dover provvedere al risarcimento relativamente ai residui sette anni.
Rispetto a tale periodo fissava l'equa riparazione in L. 3.500.000 oltre agli interessi.
Avverso questa sentenza ricorre per cassazione con quattro motivi la Sergi. Si è costituito per resistere il Ministro della Giustizia.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 3 cpc e della legge n. 89 del 2001 nonchè dell'art. 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo. Sostiene che la corte di merito ha ritenuto di concludere il periodo di riferimento del danno a "sette anni, distinguendo erroneamente all'interno di tutta la durata del processo. Con ciò la corte di merito ha dimenticato che in base alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo il termine di ragionevole durata della causa deve essere valutato nella sua interezza ed unità. Sostiene che è stato pure erroneo avere sottratto i predetti periodi dovuti ad alcuni rinvii, giacchè essi furono comunque disposti dal giudice, e che in proposito è irrilevante la considerazione dello stato della giustizia civile. Rileva infine che erroneamente la corte ha rilevato la mancanza di atti di accelerazione del processo dal momento che essi nel rito applicato risultano inesistenti.
1a) osserva la Corte che la legge n. 89 del 2001, dando attuazione, e richiamandone espressamente i principi, alla Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo, ratificata con legge n. 848 del 1955, disciplina l'equa riparazione per il superamento del termine di ragionevole durata del processo di cui all'art. 6 della Convenzione stessa. Tale novità ha prodotto l'effetto di introdurre nel patrimonio dell'utente della giurisdizione italiana il diritto di richiedere la tutela promessa dalla Convenzione con domanda diretta la giudice nazionale, nell'ambito di un procedimento particolare, caratterizzato dalla snellezza e dalla semplicità delle forme del rito camerale, strutturato in unico grado di merito.
Il provvedimento del giudice del merito quindi è espressamente dichiarato ricorribile per cassazione (punto sei dell'art. 3), poichè peraltro sul punto la legge null'altro stabilisce, deve ritenersi che l'impugnativa di legittimità è disciplinata dalle regole ordinariamente vigenti. Non può in proposito condividersi l'assunto dell'Amministrazione, sostenuto in discussione, secondo il quale esso è da ritenersi regolato all'art. 111 della Costituzione e pertanto limitato ai soli motivi di violazione di legge. orientamento risalente della Corte Suprema che il collegio condivide ritenere che la espressa previsione, quale quella nella caso di specie, devo essere intesa come rinvio alle regole ordinarie della impugnazione in questione. Laddove per aversi limitazione ai soli vizi di violazione di legge occorre che il rimedio non sia previsto, trovando così esso la sua fonte nella sola Costituzione, ovvero che la previsione preveda la limitazione di cui si tratta.
Il ricorso in esame e, pertanto, in quanto disciplinato dalla regola dell'art. 360 cpc, non può proporre di riesaminare i fatti.
1b) Osserva il collegio che l'accertamento della sussistenza dei presupposti della domanda, ovvero della non particolare complessità del caso, del comportamento della parte tale da non avere esso cagionato il protrarsi del giudizio ed il comportamento della Autorità, appartiene alla sovranità del giudice del merito e può essere sindacato in Corte di Cassazione solo per i profili attinenti la motivazione, consentiti dall'art. 360 cpc.
Ciò premesso l'accertamento di fatto di cui si tratta ha concluso come si è cennato in narrativa con la esclusione della particolare complessità della causa e con la affermazione invece della compartecipazione della parte oggi ricorrente alla protrazione del termine. Siffatto accertamento risulta esente da critiche di legittimità.
La Corte infatti ha dato conto della ripetuta richiesta da parte della attrice di rinvii privi di giustificazione processuale e di un comportamento non attivo, talvolta caratterizzato da assenza.
ben vero, come rileva il ricorrente che la legge e la giurisprudenza della Corte Europea non consentono di attribuire rilievo alla omissione di istanze acceleratorie. Tuttavia nel caso in esame la Corte d'Appello non ha utilizzato il predetto cenno a tale omessa attività di impulso al fine di accertare o escludere il presupposto della azione. Infatti il decreto impugnato ha sottratto alla durata totale del processo i soli periodi risalenti ai rinvii richiesti dalla parte, e ciò nulla ha a che vedere con la considerazione della omissione di atti acceleratori, ma invece risponde al criterio di non consentire l'abuso del diritto alla equa riparazione che sortirebbe dal riconoscimento di siffatto diritto in presenza di una attività dilatoria specificamente accertata.
Siffatta distinzione dei diversi periodi del processo peraltro non ha rappresentato una violazione del criterio che la giurisprudenza della corte Europea raccomanda, e che vuole la considerazione unitaria del termine di ragionevole durata del processo. La non ragionevolezza dello stesso intatti è stata accertata a monte della distinzione stessa, la cui funzione è di determinare la riparazione spettante alla stregua del criterio di cui all'art. 2, lettera b, della legge n. 89 del 2001, la quale stabilisce che rileva, nel quadro giuridico di cui all'art. 2056 cc. il solo danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole.
Infine sono inammissibili le doglianze che allegano in modo generico l'avere la corte d'appello posto a carico della ricorrente anche rinvii richiesti ed ottenuti dalla controparte. Ciò rappresenta un tentativo di riesaminare fatti della causa che invece la corte nella sua motivazione ha indicato in modo preciso, tale da consentire, in astratto, alla odierna ricorrente, di proporre, se del caso, il rimedio revocatorio.
2) Con il secondo motivo la Sergi lamenta la violazione e la falsa applicazione della legge n. 89 del 2001 in relazione all'art. 6 della Convenzione citata.
Sostiene che la esegua misura della riparazione concessa è dipesa anzitutto dalla erronea esclusione di ogni danno patrimoniale e quindi dalla errata valutazione di quelli non patrimoniali. Sostiene che la inutilizzabilità del locale commerciale oggetto del giudizio durato un tempo irragionevole ha cagionato danni notevoli alla attività commerciale soprattutto per la mancata disponibilità del locale stesso.
2a) Osserva la corte che è di tutta evidenza che la doglianza confonde il danno che attiene all'illecito allegato con la domanda proposta nel giudizio durato irragionevolmente con quelli che possono derivare dalla predetta durata. Il danno conseguente alla infiltrazione lamentata in quel giudizio include quello che deriva dalla indisponibilità del locale. Esso dunque non può rivestire alcun rilievo nel giudizio che ne occupa. La esclusione del danno patrimoniale pertanto è stata esattamente decisa in base alla mancata prova, appunto perchè i danni allegati non sono collegabili al superamento del termine. Quindi la delimitazione del danno non patrimoniale al predetto periodo eccedente il termine ragionevole ed imputabile all'autorità precedente è stata effettuata alla stregua del criterio di equità, e non può essere censurato perchè è adeguatamente motivato. Il motivo è infondato.
3) infondato il terzo motivo di ricorso con il quale la Sergi lamenta la sottoposizione degli atti giudiziari compiuti nella procedura di cui si tratta ad una normativa fiscale a suo dire contrastante con la Convenzione. La legge n. 89 del 2001 non prevede alcuna esenzione e le norme delle Convenzione che la ricorrente invoca riguardano i giudizi innanzi alla Corte CEDU.
4) infondato l'ultimo motivo di ricorso con il quale la ricorrente lamenta la violazione della legge n. 89 del 2001 conseguente alla mancata ammissione di note, dalla quale sarebbe derivata la sua impossibilità di replicare alla difesa del Ministro.
Osserva il collegio che la legge non subordina tale deposito, nel termine di cinque giorni dalla data della camera di consiglio, ad alcuna autorizzazione.
5) Il ricorso deve essere respinto. il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 61,97, oltre agli onorari, che liquida in euro 600.00..
In Roma il 18 giugno 2002
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 29 NOV. 2002./16936