Giurisprudenza

18 febbraio 2004    Suprema Corte

SEZIONE PRIMA - sentenza 18 febbraio 2004, n. 3143

CASSAZIONE ITALIANA . SEZIONE PRIMA - sentenza 18 febbraio 2004, n. 3143. Giudizio di equa riparazione. Legge Pinto n. 89/2001. VIOLAZIONE DEL TERMINE RAGIONEVOLE DEL PROCESSO DEL LAVORO- CRITERI DI CALCOLO DELLA DURATA NON RAGIONEVOLE.


1) Ai sensi dell'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, nel termine ragionevole del processo non è computabile il tempo occorso per lo svolgimento di fasi amministrative che, in relazione alla natura sostanziale del rapporto poi oggetto di contesa, possano o debbano precedere l'azione in giudizio, ancorchè rivestano connotati procedimentali, trattandosi di momenti comunque estranei all'"apparato giustizia" ed affidati a soggetti ad esso non appartenenti. (Nella specie veniva in considerazione il procedimento amministrativo costituente "ex" art. 443 cod.proc.civ. condizione di procedibilità per la domanda relativa alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie).

2) In tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, pur essendo possibile individuare degli "standard" di durata media ragionevole per ogni fase del processo, quando quest'ultimo si sia articolato in vari gradi e fasi, così come accade nell'ipotesi in cui il giudizio si svolga in primo grado, in appello, in cassazione ed in sede di rinvio, agli effetti dell'apprezzamento del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali occorre, secondo quanto già enunciato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, avere riguardo all'intero svolgimento del processo medesimo, dall'introduzione fino al momento della proposizione della domanda di equa riparazione, dovendosi cioè addivenire ad una valutazione sintetica e complessiva del processo anzidetto, alla maniera in cui si è concretamente articolato (per gradi e fasi appunto), così da sommare globalmente tutte le durate, atteso che queste ineriscono all'unico processo da considerare, secondo quanto induce a ritenere il fatto che, a norma dell'art. 4 della citata legge, ferma restando la possibilità di proporre la domanda di riparazione durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, tale domanda deve essere avanzata, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il procedimento stesso, è divenuta definitiva.

3) In tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo non discende, come conseguenza automatica, dall'inosservanza di termini posti dal legislatore al manifesto scopo di imprimere un'accelerazione al processo (come quelli, previsti dal rito del lavoro, per l'individuazione della data entro cui deve tenersi l'udienza di discussione "ex" art. 415 cod.proc.civ.), l'inosservanza di detti termini rilevando solo in quanto (e nei limiti in cui) determini a sua volta il mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, richiamato dall'art. 2 della citata legge, il quale è cosa diversa dai termini "legali", risultando da una sorta di media che tenga conto della durata del processo considerata fisiologica in linea di massima, salve le peculiarità del caso concreto.

4) In tema di equo indennizzo ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, nel novero del danno patrimoniale da violazione dei termine di durata ragionevole del processo non rientrano le poste che costituiscono oggetto del giudizio, pendente o concluso, protrattosi eccessivamente.

5) Ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, in caso di mancato rispetto del termine di durata ragionevole del processo, la riparazione mediante adeguate forme di pubblicità della dichiarazione dell'avvenuta violazione non si cumula necessariamente con la liquidazione dell'indennizzo, essendo il ricorso all'ordine di pubblicazione rimesso al potere discrezionale del giudice del merito.

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