Giurisprudenza

02 aprile 1999    Corte Costituzionale

Corte Cost. 109-1999

SENTENZA N. 109

ANNO 1999

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Dott. Renato GRANATA Presidente
Prof. Giuliano VASSALLI Giudice
Prof. Francesco GUIZZI "
Prof. Cesare MIRABELLI "
Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
Avv. Massimo VARI "
Dott. Cesare RUPERTO "
Dott. Riccardo CHIEPPA "
Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
Prof. Valerio ONIDA "
Prof. Carlo MEZZANOTTE "
Avv. Fernanda CONTRI "
Prof. Guido NEPPI MODONA "
Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 314 del codice di procedura penale, promossi con due ordinanze emesse il 6 ed il 28 novembre 1997 dalla Corte d'appello di Firenze, iscritte ai nn. 77 e 78 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1998.

Udito nella camera di consiglio del 30 settembre 1998 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'appello di Firenze, nel corso di un procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, con ordinanza in data 6 novembre 1997, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 314 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede il diritto alla riparazione della detenzione ingiustamente subita in conseguenza di arresto illegittimo o non seguito da ordinanza di custodia cautelare in carcere o di arresti domiciliari.

Il giudice a quo premette in fatto che due domande di riparazione erano state proposte da due persone arrestate in flagranza per violazione della disciplina sugli stupefacenti. Una di esse era stata liberata dal pubblico ministero ex art. 389 cod. proc. pen. e la sua posizione processuale era stata poi definita con decreto di archiviazione. L'altra si era vista convalidare l'arresto, ma era stata contestualmente liberata dal giudice per le indagini preliminari, che non aveva disposto nei suoi confronti alcuna misura cautelare, ed era stata successivamente prosciolta per non avere commesso il fatto.

Ad avviso del giudice a quo, nei casi sottoposti al suo esame non può configurarsi, in base all'art. 314 cod. proc. pen., diritto all'equa riparazione, in quanto la detenzione si è esaurita nell'ambito della misura precautelare dell'arresto. In ciò, la disposizione censurata contrasterebbe con l'art. 76 della Costituzione sotto un duplice profilo. In primo luogo, in quanto la direttiva n. 100 dell'art. 2 della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), nel prevedere la riparazione per l'ingiusta detenzione, non distinguerebbe in alcun modo tra misure cautelari e misure precautelari. In secondo luogo, perchè nel preambolo dell'art. 2 della citata legge di delegazione è prescritto espressamente che il codice di procedura penale deve attuare i principi della Costituzione ed adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali relative ai diritti della persona e al processo penale ratificate dall'Italia. L'art. 5, quinto comma, della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall'Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848, prevede, appunto, che ogni persona vittima di un arresto o di detenzioni ingiuste ha diritto a un indennizzo.

La disposizione censurata contrasterebbe, secondo il remittente, anche con l'art. 3 della Costituzione, per irragionevole disparità di trattamento tra chi è privato della libertà personale solo in forza di una misura precautelare, e non ha quindi diritto all'equo indennizzo, e chi, raggiunto da misura custodiale cautelare dopo l'arresto, ha diritto a veder computato nella custodia cautelare che dà luogo a riparazione anche il periodo intercorrente tra l'arresto e l'emissione dell'ordinanza di custodia cautelare.

2. La Corte d'appello di Firenze - dovendosi pronunciare sulla domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da persona che, arrestata in flagranza per violazione della disciplina sugli stupefacenti e immediatamente liberata dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 389 cod. proc. pen., era poi risultata indenne da ogni addebito essendo stato nei suoi confronti emesso provvedimento di archiviazione - con ordinanza in data 28 novembre 1997 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 314, commi 1, 2 e 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui esclude la riparazione per l'ingiusta detenzione sofferta a seguito di misura precautelare.

Ad avviso del remittente, tale esclusione contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione, per il trattamento ingiustificatamente discriminatorio riservato alla persona sottoposta a misura precautelare rispetto a quella soggetta a misura cautelare, posto che la detenzione in carcere è comune ad entrambe le misure.

La disposizione censurata sarebbe, poi, in contrasto con l'art. 13 della Costituzione, perchè la libertà personale "se violata, dovrebbe essere comunque ristorata": e non vi è dubbio, secondo il giudice a quo, che dalla disposizione censurata discende la impossibilità di ristorare la privazione della libertà personale subita sulla base di una misura precautelare.

La medesima disposizione contrasterebbe, infine, ad avviso del remittente, anche con l'art. 2 della Costituzione, dal momento che l'istituto della riparazione della ingiusta detenzione costituisce espressione del principio solidaristico che ispira l'intera Carta costituzionale, sicchè la limitazione del suo ambito di applicabilità comporterebbe anche una illegittima compressione di quel principio.

Considerato in diritto

1. In seguito a due ordinanze della Corte d'appello di Firenze questa Corte è chiamata a decidere se sia conforme agli artt. 2, 3, 13, 24 e 76 della Costituzione l'art. 314 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede il diritto alla riparazione per la detenzione patita a seguito delle misure precautelari dell'arresto in flagranza e del fermo di indiziato di delitto.

Per rendere più chiaro il contenuto dell'intervento additivo sollecitato dai remittenti conviene richiamare brevemente l'attuale disciplina in materia di riparazione per ingiusta detenzione.

L'art. 314 cod. proc. pen. stabilisce, al comma 1, che chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perchè il fatto non sussiste, per non avere commesso il fatto, perchè il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ha diritto a un'equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave.

Lo stesso diritto spetta, ai sensi del comma 2, al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 del codice di procedura penale.

Le citate disposizioni, contenute nei primi due commi dell'art. 314, si applicano, alle medesime condizioni, in forza del comma 3, a favore delle persone nei cui confronti sia stato pronunciato provvedimento di archiviazione ovvero sentenza di non luogo a procedere.

Manca, nella disciplina posta dall'art. 314, la previsione di un corrispondente diritto a favore di chi, in condizioni analoghe, sia stato colpito non da una misura cautelare detentiva, ma dalla misura dell'arresto in flagranza (artt. 380 e 381) o da quella del fermo di indiziato di delitto (art. 384). Alla stregua della disciplina vigente non ha infatti diritto ad alcun equo indennizzo nè l'arrestato o il fermato che sia stato poi prosciolto con sentenza irrevocabile perchè il fatto non sussiste, per non avere commesso il fatto, perchè il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato o nei cui confronti sia stato adottato provvedimento di archiviazione o sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere, nè chi, prosciolto per qualsiasi causa o condannato, sia rimasto vittima di arresto o fermo non convalidato dal giudice con decisione irrevocabile o la cui convalida sia stata annullata dalla Corte di cassazione su ricorso promosso ai sensi dell'art. 391, comma 4, del codice di procedura penale. In tutti questi casi la situazione in cui versa l'arrestato o il fermato è speculare a quella regolata, per il colpito da misura cautelare, dai primi tre commi dell'art. 314, e tuttavia per essi non è prevista alcuna possibilità di riparazione.

2. E' contro questa carenza che si indirizzano le censure della Corte d'appello di Firenze nelle due ordinanze di remissione.

Secondo una prima ordinanza, l'avere la disposizione denunciata previsto soltanto la riparazione per detenzione conseguente a misura cautelare e non anche la riparazione per detenzione conseguente ad arresto contrasterebbe con l'art. 76 della Costituzione sotto due diversi profili: da un lato, in forza dell'art. 2, punto 100, della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), il Governo sarebbe stato delegato ad introdurre l'istituto della riparazione per ingiusta detenzione senza distinzione alcuna tra misure cautelari e misure precautelari; dall'altro, lo stesso art. 2, imponendo nel suo incipit l'adeguamento dell'emanando nuovo codice alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale, non consentirebbe alcuna differenziazione tra le due situazioni, giacchè la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall'Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848, prevede espressamente all'art. 5, quinto comma, il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzioni di sorta.

La disposizione censurata violerebbe poi l'art. 3 della Costituzione per la non giustificata disparità di trattamento tra l'arrestato nei cui confronti sia stata disposta dal giudice una misura cautelare detentiva, per il quale, in forza dell'art. 297, comma 1, cod. proc. pen., è riparabile anche l'iniziale privazione della libertà personale, e l'arrestato indenne da misure cautelari restrittive, a favore del quale non è prevista alcuna riparazione.

La discriminazione in danno di chi abbia subito la sola misura precautelare dell'arresto sarebbe altresì lesiva del principio di eguaglianza per un aspetto ancor più generale, giacchè l'arresto operato dalla polizia giudiziaria non offenderebbe la libertà della persona in misura minore della detenzione che consegue a ordinanza del giudice.

Per la seconda ordinanza, proveniente dalla medesima Corte d'appello di Firenze, l'omessa previsione della riparazione per la detenzione sofferta a seguito di misura precautelare porrebbe l'art. 314, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen. in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, per il trattamento ingiustificatamente discriminatorio riservato alla persona sottoposta ad arresto o fermo rispetto a quello previsto per la persona colpita da misura cautelare restrittiva, posto che la detenzione sarebbe comune ad entrambe le ipotesi.

Le stesse disposizioni violerebbero, poi, gli artt. 2 e 13 della Costituzione, poichè la libertà personale "se violata, dovrebbe comunque essere ristorata", anche in base al principio di solidarietà a cui la Carta costituzionale è ispirata.

Poichè le due ordinanze di remissione sottopongono all'esame della Corte questioni analoghe, aventi ad oggetto la medesima disposizione di legge, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3. La questione è fondata.

E' in primo luogo evidente la violazione dell'art. 3 della Costituzione che l'anzidetta disciplina comporta. La diversità della situazione di chi abbia subito detenzione a causa di una misura cautelare rispetto a quella di chi sia stato colpito da un provvedimento di arresto o fermo non è tale da giustificare un trattamento così discriminatorio, al punto che la prima situazione sia ritenuta meritevole di equa riparazione e la seconda, pur se ricorrano presupposti analoghi, venga invece dal legislatore completamente ignorata.

Non può infatti negarsi che anche nei casi in cui l'arresto o il fermo siano seguiti da sentenza irrevocabile di proscioglimento con le formule di cui all'art. 314, comma 1, ovvero, anche se seguiti da sentenza di condanna o di proscioglimento per qualsiasi causa (art. 314, comma 2), non siano stati convalidati, o ancora siano seguiti da provvedimento di archiviazione o da sentenza di non luogo a procedere (art. 314, comma 3), sussistano presupposti analoghi a quelli che hanno condotto il legislatore a qualificare come ingiusta e suscettibile di riparazione la detenzione conseguente a misura cautelare. In particolare, l'arresto o il fermo non convalidati (situazione speculare a quella regolata dall'art. 314, comma 2) presentano una stretta analogia con le misure cautelari illegittimamente assunte, giacchè la mancata convalida priva la limitazione della libertà personale della sua indefettibile base giurisdizionale richiesta dall'art. 13, secondo e terzo comma, della Costituzione, e la rende per ciò stesso illegittima, senza che sia possibile distinguere l'ipotesi di assenza dei presupposti da quella di inosservanza dei termini per la convalida.

La provvisorietà, che contraddistingue i poteri di intervento del pubblico ministero e della polizia giudiziaria sulla libertà personale, è valsa ad attribuire all'arresto e al fermo la denominazione di "precautele", ma è indubitabile, almeno sul piano degli effetti, la loro natura custodiale. L'arrestato e il fermato per tutto il periodo di operatività della relativa misura (fino ad un massimo di 96 ore) sono trattenuti presso una casa circondariale o mandamentale (art. 386, comma 4), con la sola eccezione contemplata dall'art. 566, comma 2, ultima parte, ovvero presso la propria abitazione o in altro luogo di privata dimora o ancora, ricorrendone i presupposti, in un luogo pubblico di cura o di assistenza (art. 386, comma 5, in relazione all'art. 284, comma 1); sicchè l'esecuzione del provvedimento provvisorio sostanzialmente realizza una forma tipica di custodia, che non può non postulare, rispetto alle altre misure restrittive, identità di regime riparatorio. L'esigenza di una piena equiparazione delle "precautele" alle misure detentive è d'altronde comprovata dall'art. 297, comma 1, cod. proc. pen., il quale prevede che "gli effetti della custodia cautelare decorrono dal momento della cattura, dell'arresto o del fermo".

Se si considera che, in base a questa disposizione, il periodo di arresto o fermo è ritenuto computabile nella durata della custodia riparabile quando il giudice in sede di convalida abbia disposto la prosecuzione dello status detentionis applicando una misura cautelare personale, mentre non sorge alcun diritto alla riparazione nel caso in cui all'udienza di convalida non segua alcuna misura cautelare restrittiva, emerge con nettezza di contorni un ulteriore profilo di disparità di trattamento e, insieme, di irragionevolezza, anch'esso censurabile alla luce dell'art. 3 della Costituzione.

4. Anche in relazione agli altri parametri evocati dalle ordinanze di remissione l'illegittimità costituzionale dell'art. 314 cod. proc. pen. risulta confermata. In una materia che non tollera franchigie temporali a favore di alcuna autorità, l'arresto o il fermo sono trattati dal legislatore, ai fini dell'equa riparazione, come se fossero provvedimenti che non ledono la libertà personale.

Ma un simile trattamento contrasta con la legge di delegazione n. 81 del 16 febbraio 1987, nella quale è ben presente l'esigenza che tutte le offese arrecate alla libertà personale mediante ingiusta detenzione siano riparate, indipendentemente dalla durata di questa e quale che sia l'autorità dalla quale la restrizione provenga. L'indirizzo impartito al Governo al punto 100 dell'art. 2, comma 1, di tale legge è infatti nel senso di introdurre, accanto alla riparazione dell'errore giudiziario, vale a dire del giudicato erroneo, già oggetto della disciplina del codice previgente, anche la riparazione per la "ingiusta detenzione" senza distinguere l'arresto o il fermo dalle misure cautelari personali: ciò che lascia trasparire l'intendimento del legislatore delegante che non venissero a determinarsi, su questo piano, differenze tra custodia cautelare e custodia precautelare, che sarebbero risultate difficilmente giustificabili.

5. Sotto un distinto ma convergente profilo, questa Corte ha già rilevato, trattando della detenzione ingiusta patita a seguito di ordine di esecuzione illegittimo (sentenza n. 310 del 1996), che lo stesso incipit dell'art. 2 della citata legge di delegazione, nel prevedere che il nuovo codice si debba adeguare alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale, depone nel senso della non discriminazione tra le diverse cause di restrizione della libertà personale, giacchè proprio la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall'Italia con la legge 4 agosto 1958, n. 848, prevede espressamente, all'art. 5, il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzioni di sorta.

L'obliterazione della riparazione della detenzione patita a seguito di una misura precautelare, quando abbia avuto luogo su presupposti analoghi a quelli che hanno condotto a considerare ingiusta la detenzione conseguente a misura cautelare, costituisce una autonoma ed illegittima scelta del legislatore delegato.

6. Quanto agli artt. 2 e 13 della Costituzione, evocati in una delle due ordinanze di remissione, nella quale si rileva che nella disciplina censurata sono simultaneamente coinvolti il principio di solidarietà e quello della inviolabilità della libertà personale, a questa Corte non resta che richiamarsi alla sentenza n. 446 del 1997, dove è stato posto in luce il fondamento squisitamente solidaristico della riparazione per l'ingiusta detenzione ed è stato chiarito che in presenza di una lesione della libertà personale rivelatasi comunque ingiusta con accertamento ex post, in ragione della qualità del bene offeso si deve avere riguardo unicamente alla oggettività della lesione stessa. Tali essendo le basi costituzionali dell'istituto, anche per questo ulteriore ordine di considerazioni la riparabilità dell'ingiusta detenzione, subita a seguito di misura precautelare, non può non essere riconosciuta.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 314, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perchè il fatto non sussiste, per non avere commesso il fatto, perchè il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa riparazione per la detenzione subita a causa di arresto in flagranza o di fermo di indiziato di delitto, entro gli stessi limiti stabiliti per la custodia cautelare;

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 314, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che lo stesso diritto nei medesimi limiti spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto quando, con decisione irrevocabile, siano risultate insussistenti le condizioni per la convalida.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in cancelleria il 2 aprile 1999.

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