Corte Costituzionale sentenza 231-2004
Corte costituzionale - sentenza 8-16 luglio 2004, n. 231
Presidente Zagrebelsky - Relatore Neppi Modona
Ritenuto in fatto
1. La Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 13 e 24, terzo (recte, quarto) comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 314 del Cpp, "nella parte in cui, in tema di estradizione passiva, non prevede la riparazione per ingiusta detenzione nel caso di arresto provvisorio e di applicazione provvisoria di misura cautelare custodiale su domanda dello Stato estero che si accerti carente di giurisdizione».
La Corte rimettente premette:
- che a seguito di richiesta di estradizione presentata dagli Stati Uniti d'America nei confronti di persona accusata di violenza sessuale commessa a bordo di una nave da crociera che, per quanto emergeva dall'esposizione dei fatti, si trovava in acque territoriali statunitensi, il sospetto autore del reato era stato tratto in arresto dalla polizia italiana il 19 agosto 1998;
- che il Presidente della Corte di appello di Genova aveva convalidato l'arresto e disposto la misura della custodia cautelare in carcere e che il 14 gennaio 1999 l'estradando veniva rimesso in libertà;
- che successivamente la Corte di appello di Genova, nel delibare la richiesta di estradizione, aveva accertato che la nave, che batteva bandiera panamense, non si trovava al momento dei fatti in acque territoriali statunitensi, ma in alto mare, ed era quindi soggetta alla giurisdizione dello Stato di bandiera ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione di Ginevra sull'alto mare del 29 aprile 1958, sottoscritta dall'Italia e dagli Stati Uniti d'America, vincolante anche per lo Stato richiedente;
- che pertanto, difettando la giurisdizione dello Stato richiedente, con sentenza del 2 dicembre 1999 la Corte di appello aveva pronunciato sentenza contraria all'estradizione;
- che l'interessato aveva formulato richiesta di riparazione per ingiusta detenzione e che la Corte di appello di Genova aveva accolto la domanda, affermando - sulla base di una precedente sentenza di legittimità concernente la carenza di giurisdizione dello Stato richiesto - che "l'esistenza della giurisdizione è un prius rispetto al suo esercizio, di tal che se è riparabile l'ingiusta detenzione conseguente al non corretto esercizio della giurisdizione, a fortiori essa è riparabile quando consegue alla carenza della giurisdizione stessa»;
- che avverso tale provvedimento aveva proposto ricorso il Procuratore generale di Genova, sostenendo che la Corte di appello aveva erroneamente interpretato la disposizione in esame, applicandola al di là dei casi espressamente consentiti dalla legge.
2. La Corte di cassazione rimettente, nel sollevare la questione di costituzionalità, dichiara di non condividere l'interpretazione estensiva dell'articolo 314, comma 2, Cpp seguita dalla Corte distrettuale, secondo cui lo Stato italiano, in tema di estradizione passiva, mutua la propria giurisdizione dall'ordinamento dello Stato straniero richiedente, in quanto la giurisdizione è potere originario dello Stato e non deriva dall'altrui giurisdizione, ma è espressione del principio di sovranità ed esiste anche in assenza della giurisdizione dello Stato richiedente.
Al riguardo, la Corte di cassazione richiama un precedente di legittimità con il quale, in un caso di estradizione passiva, si è affermato che non spetta la riparazione per ingiusta detenzione, in quanto "per l'esplicita esclusione dell'applicazione dei parametri previsti dagli articoli 273 e 280 Cpp operata dall'articolo 714, comma 2, Cpp, l'arresto a fini estradizionali non può dar luogo al diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione, e perciò l'interessato non può conseguire alcun apprezzabile beneficio dall'annullamento del provvedimento».
Ritenuta pertanto "non conforme a diritto l'interpretazione estensiva del giudice a quo», la Corte rimettente solleva la questione di legittimità costituzionale per contrasto della disciplina censurata con gli articoli 3, 2 e 13, nonchè 24, quarto comma, della Costituzione.
3. L'articolo 3 Costituzione sarebbe violato, ad avviso della Corte rimettente, per la irragionevole disparità di trattamento tra chi, privato della libertà personale in forza di una misura emessa, a fini estradizionali, su richiesta di uno Stato estero, non può beneficiare dell'equa riparazione, e chi, privato della libertà in forza di un provvedimento emesso da un giudice dello Stato ma in assenza delle condizioni di applicabilità previste dagli articoli 273 e 280 Cpp, può ottenere un'equa riparazione, previo accertamento del difetto delle predette condizioni di applicabilità.
Sarebbero violati inoltre gli articoli 2 e 13 Costituzione, in quanto, come già rilevato dalla Corte costituzionale, la riparazione per l'ingiusta detenzione ha un fondamento squisitamente solidaristico, ed in presenza di una lesione della libertà personale, rivelatasi comunque ingiusta con accertamento ex post, si deve avere riguardo unicamente alla oggettività della lesione stessa.
La disciplina censurata contrasterebbe infine con l'articolo 24, quarto comma, Costituzione, che demanda alla legge di determinare le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari, senza delimitare in alcun modo la tipologia degli stessi, dal momento che tale principio ha trovato "il suo logico sviluppo e la conferma», a livello internazionale, nell'articolo 5, paragrafo cinque, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che prevede, appunto, che ogni persona vittima di detenzione ingiusta ha diritto a un indennizzo, e a livello nazionale nel preambolo dell'articolo 2 della legge delega per l'emanazione del nuovo Cpp (legge 81/1987), che prescrive l'adeguamento alle norme delle convenzioni internazionali, e nell'articolo 2, n. 100, della medesima legge, che impone al Governo di introdurre la riparazione per l'ingiusta detenzione, senza operare distinzioni di sorta.
Considerato in diritto
1. La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale dell'articolo 314 del Cpp, "nella parte in cui, in tema di estradizione passiva, non prevede la riparazione per ingiusta detenzione nel caso di arresto provvisorio e di applicazione provvisoria di misura custodiale su domanda dello Stato estero che si accerti carente di giurisdizione».
La Corte rimettente è investita del ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Genova avverso la sentenza della medesima Corte di appello che aveva riconosciuto un indennizzo a titolo di riparazione per ingiusta detenzione in favore di un soggetto che, a seguito di richiesta di estradizione avanzata da uno Stato estero, aveva subito un periodo di custodia cautelare in carcere in Italia ed era poi stato posto in libertà.
Con la precedente sentenza contraria alla estradizione la Corte di appello di Genova aveva infatti ritenuto che lo Stato richiedente fosse privo di giurisdizione e successivamente, investita della domanda di riparazione per ingiusta detenzione, aveva affermato che presupposto dell'esercizio della giurisdizione è "l'essere il giudice munito di giurisdizione», mentre nella specie risultava accertato che il provvedimento di custodia cautelare era stato emesso in "mancanza della condizione fondamentale presupposta dall'articolo 273, cioè dell'esistenza della giurisdizione». Ad avviso della Corte territoriale, se l'ingiustizia della detenzione che discende dal non corretto esercizio della giurisdizione dà diritto ad un'equa riparazione, a maggior ragione la riparazione è dovuta quando la detenzione consegue ad una situazione di carenza di giurisdizione.
La Corte di cassazione rimettente afferma di non condividere tale interpretazione estensiva dell'articolo 314, comma 2, Cpp, in quanto la giurisdizione è un potere originario dello Stato, espressione del principio di sovranità, sussistente anche in assenza della giurisdizione dello Stato richiedente, e richiama tra l'altro una precedente decisione di legittimità, secondo cui l'arresto a fini estradizionali non può dare luogo alla riparazione per ingiusta detenzione dal momento che l'articolo 714, comma 2, Cpp esclude espressamente che in tale materia trovino applicazione gli articoli 273 e 280 Cpp. Pertanto, ritenuta non conforme a diritto l'interpretazione estensiva della Corte di appello, solleva questione di legittimità costituzionale dell'articolo 314 Cpp per contrasto con gli articoli 2, 3, 13 e 24, quarto comma, della Costituzione.
2. La questione non è fondata, nei termini di seguito precisati.
3. La Corte rimettente muove dal presupposto che esista "una carenza di previsione normativa» per le fattispecie del tipo di quella esaminata, in quanto l'esclusione operata dall'articolo 714, comma 2, Cpp nei confronti degli articoli 273 e 280 Cpp comporterebbe l'inapplicabilità della disciplina dell'articolo 314, comma 2, Cpp alla detenzione a fini estradizionali.
Al riguardo occorre tuttavia considerare che il vigente Cpp dedica alle misure cautelari nel procedimento di estradizione un'apposita sezione, inserita nel Capo I del Titolo II del Libro XI, ove si fa espresso richiamo alla disciplina delle misure cautelari dettata nel Libro IV, sul presupposto che all'estradando debba applicarsi "lo stesso trattamento dell'imputato davanti a un giudice italiano» (cfr. Relazione al progetto preliminare del Cpp, p. 154). In particolare, l'articolo 714, comma 2, Cpp stabilisce che si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del Titolo I del Libro IV, riguardanti appunto le misure coercitive, fatta eccezione dei soli articoli 273 e 280, ove sono contemplate, rispettivamente, le condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari personali (sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, nonchè assenza di condizioni di non punibilità, di cause di giustificazione o di estinzione del reato o della pena) e le condizioni di applicabilità delle misure coercitive, con riferimento ai limiti edittali.
Premesso che tra le disposizioni richiamate in via generale in forza del rinvio operato dall'articolo 714, comma 2, Cpp all'intiero Titolo I, dedicato alle misure coercitive, sono comprese quelle contenute nell'ultimo Capo del Titolo I del Libro IV, relativo alla disciplina della riparazione per ingiusta detenzione, l'espressa previsione della non applicabilità degli articoli 273 e 280 Cpp non può essere interpretata come volontà del legislatore di escludere il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione per i soggetti in attesa di estradizione, bensì come logica impossibilità di valutare nei loro confronti l'ingiustizia della detenzione sulla base dei parametri ricavabili dagli articoli 273 e 280 Cpp, ove sono enunciate condizioni che possono evidentemente operare solo in relazione all'adozione di misure cautelari finalizzate alle esigenze del processo penale italiano.
Nei confronti dei soggetti di cui è richiesta l'estradizione gli estremi dell'ingiusta detenzione dovranno dunque essere valutati verificando se risulta ex post accertata l'insussistenza delle specifiche condizioni di applicabilità delle misure coercitive, per tali soggetti individuate a norma del comma 3 dell'articolo 714 Cpp nelle "condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione».
Tale interpretazione, oltre a consentire una lettura della disciplina censurata conforme a Costituzione, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che ha in sostanza ricollegato il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione alla presenza di una oggettiva lesione della libertà personale, comunque ingiusta alla stregua di una valutazione ex post (sentenze 310/96, 446/97, 109/99, 284/03 e 230/04), è avvalorata, come più volte ribadito nelle menzionate sentenze, da significative indicazioni normative, anche di natura sovranazionale. L'articolo 2, n. 100, della legge 81/1987, contenente la delega legislativa per l'emanazione del nuovo Cpp, enuncia la direttiva della riparazione dell'ingiusta detenzione, senza alcuna distinzione o limitazione circa il titolo della detenzione stessa o le 'ragioni' dell'ingiustizia; a sua volta l'alinea dell'articolo 2 della citata legge delega stabilisce che il nuovo codice deve adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia relative ai diritti della persona e al processo penale, tra le quali la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966, che prevedono rispettivamente, nell'articolo 5, paragrafo cinque, e nell'articolo 9, paragrafo cinque, il diritto ad un indennizzo in caso di detenzione illegale, senza alcuna limitazione.
Del resto, con specifico riferimento alla detenzione a fini estradizionali, la Raccomandazione n. R(86)13 del 16 settembre 1986 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, in tema di applicazione pratica della Convenzione europea di estradizione, contiene l'invito agli Stati a "esaminare la propria legislazione, in modo da permettere alle persone detenute senza giustificati motivi ai fini dell'estradizione di esigere un indennizzo, alle stesse condizioni previste per la detenzione provvisoria ingiustificata».
La questione deve pertanto essere dichiarata infondata, essendo possibile attribuire alla norma censurata un significato idoneo a superare i profili di illegittimità costituzionale prospettati dalla Corte rimettente, spettando evidentemente al giudice a quo accertare la sussistenza in concreto delle condizioni per il riconoscimento dell'ingiustizia della detenzione.